Il FLIP – il Festival della Letteratura Indipendente di Pomigliano d’Arco – è un evento annuale dedicato interamente alla letteratura slegata dagli interessi e dal giro dei grandi editori, per riaffermare la qualità come stella polare nella scoperta di titoli, scrittori/scrittrici e case editrici.
Ho partecipato alle 3 edizioni del FLIP (di solito tenuto a settembre) come frequentatore e, in alcuni casi, presentatore. Esperienze sempre intense, perché ero circondato da esperti di vari campi del mondo dell’editoria, oltre che appassionati e appassionate dalle storie personali più diverse. E poi, quando ho presentato, ho avuto davanti un pubblico esigente e curioso. La poesia non aveva mai rivestito un ruolo principale nel tabellone, per questo gli organizzatori del FLIP hanno deciso di raddoppiare la sfida e lanciare una nuova edizione invernale con un focus ben preciso: la poesia.
Di solito, negli articoli dedicati a questa arte, all’inizio si trova spesso una sezione dedicata alla difesa a spada tratta del medium, ma non credo ce ne sia bisogno davvero. Non perché l’argomento sia poco importante ma perché, appunto, sembra esserci una tendenza ad assumere un tono e una posizione stentorea per proteggere un’arte che ormai viene considerata – quando fortunata – come fieramente inutile, perché lontana dal profitto, oppure spacciata. C’è davvero bisogno di difendere con grandi esternazioni un atto naturale come il parlare, il respirare o il socializzare?
Forse si, come scrive ironicamente Cristophe Tarkos in Soldi, edito da Tic Edizioni e con una traduzione di Michele Zaffarano: “è un crollo delle chiacchiere inutili, è il rovesciamento in quanto tutte le chiacchiere trovano un valore nel valore dei soldi. / Le parole non sono più connesse alla conformità dello spirito, le parole legate al valore misterioso dei soldi sono tutte possibili, sono chiamate, sono delle buone parole.”
Credo la poesia non abbia bisogno di giustificazioni o formule d’introduzione perché il mondo della poesia ha qualcosa che difficilmente viene offerto da altre forme d’arte: è accessibile e istantanea. Non c’è bisogno di un corso preparatorio o di strumenti esterni: bisogna accettare la sfida di riempire un foglio con delle parole che cerchino di restituire un sentimento difficile da assimilare in noi e quindi da condividere.
Anche se, ovviamente, per un “buon” risultato c’è bisogno di leggere molto, basta un qualsiasi supporto su cui poter scrivere per mettersi alla prova e divertirsi a incollare frasi o creare simboli, e, almeno ad una prima stesura, non necessita di lunghissime ore di lavoro come la scrittura di un romanzo o un racconto, dove bisogna gestire personaggi, trama e ritmo.
Inoltre, secondo il narratore e poeta rumeno Mircea Cărtărescu – che abbiamo avuto il piacere di intervistare durante l’edizione 2023 del FLIP – in realtà, la poesia diventa maestra di scrittura perché unisce immagini e parole fin da subito, mentre invece, chi fa narrativa, tende a separare queste due fasi.Nella congiunzione di questi due elementi si sprigiona una sensazione senza linee di demarcazione precise che sembra indicare come, anche se minimamente, quel momento di creazione abbia cambiato la sostanza dei nostri sensi.
Stiamo quindi parlando di qualcosa di semplice da realizzare? Ovviamente, ci sono diversi ostacoli, ma anche vari gradi di incanto scaturiti dal processo creativo.
Il primo incanto da superare è sempre quello che prende le sembianze dello spavento davanti ad un’azione affrontata milioni di volte dal genere umano ma che continua ad essere ostica.
La poetessa e attivista culturale rumena Ana Blandiana, nel suo saggio “La poesia, tra silenzio e peccato”, ci illustra uno degli ostacoli più comuni quando proviamo a scrivere – “l’ansia per l’allestimento dell’eloquio […] per l’abilità tecnica mi raggela e mi conduce talvolta alla totale incapacità di formulazione”. Se persino una poetessa esperta deve avere a che fare con questo problema emotivo, allora non solo dobbiamo rassicurarci, ma anche chiederci perché sottoporci a uno stress di questo tipo per un medium che, a quanto si dice in giro, sia morente.
La parola da scegliere, a mio parere, resta l’incanto perché, nonostante l’ansia, non è mai un compito negativo: la possibilità di potersi esprimere è come guidare dentro una nebbia lattosa: rischioso ma necessario.
Leggere una raccolta poetica crea la sensazione di una gara a staffetta dove, a turno, noi inseguiamo le parole e le loro espansioni per capire fin dove possiamo capirci e spingerci e poi le parole ci placcano a terra e ci obbligano a guardare in faccia qualcosa di potente e sconvolgente.
Il fatto stesso che affrontiamo queste difficoltà indica una necessità vitale da espletare – un’altra tematica discussa da scrittrici e scrittori di ogni tempo.
Quello che un’arte come la poesia ci insegna è che anche se il momento della scrittura è completamente privato e isolato, il testo viene trasformato dalla performance e dalla condivisione.
La lettura è il momento in cui la parola diventa fisica tramite la sua pronuncia, ma anche tramite le vibrazioni dell’apparato fonatorio di chi recita il componimento, influenzate dall’emozione di leggere in pubblico, amplificate dalla presenza di questo pubblico che si riunisce per ascoltare e, spesso, leggere a loro volta i propri componimenti. Il risultato finale è quindi una combinazione di parti fisiche e misurabili con elementi aleatori e incomunicabili, un miscuglio che va a riproporre nel corpo di chi legge e ascolta poesia lo stesso trambusto cognitivo che ha generato la poesia stessa.
Non per dire che la lettura individuale sia inferiore, ma che la lettura condivisa apre un canale di comunicazione aggiuntivo e quindi spalanca una finestra sulla possibilità di riconoscere le altre persone senza il bisogno di identificarsi e spacchettarsi.
Tutto questo potrete trovarlo al FLIP Poesia dal 16 al 18 Febbraio. Trovate il programma completo sul sito web o sui canali social. Venite in tanti/e e raccontateci (dal vivo e online) la vostra esperienza.
Vi lascio con un componimento di Blandiana – una degli ospiti del FLIP Poesia – tratto dalla raccolta Un tempo gli alberi avevano occhi, edito da Donzelli Poesia e tradotto da Bruno Mazzoni.
Colline
Colline, soavi sfere boscose
nascoste per metà nella terra
perché possano gioire anche i morti
della vostra carne dolcemente rotonda,
forse un morto sta qui ora come me,
ascolta le eternità che scorrono,
ricorda le sue vecchie vite una per una
e contemplandovi mormora:
colline, soavi sfere boscose
nascoste per metà nell’aria
perché possano gioire anche i vivi
del vostro dolcissimo respiro…