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Riceviamo un articolo molto interessante dalla nostra amica Alessandra, penna importante in questa rete di scrittura al femminile/ Notre amie Alessandra, indispensable plume des ‘donneconlozaino’ nous envoie cet article très intéressant (en français après la photo)


A Merano c’è un museo di cui non conoscevo l’esistenza: il Museo delle Donne. Si è trattato di una scoperta davvero sorprendente e l’ho visitato con grande curiosità. Si trova al centro della città ed occupa dal 2011 i due piani superiori dell’ex convento dell’ordine delle Clarisse. Fondato nel 1988 da Evelyn Ortner, appassionata collezionista di abiti, accessori e oggetti quotidiani femminili, è ora diretto da Ingrid Prader, la Presidente.
L’esposizione permanente ripercorre la storia delle donne in cammino attraverso i secoli, documentata con oltre duemila pezzi, fra accessori, abiti, strumenti di vita quotidiana e di lavoro, testi, documenti, libri. Il museo è attivo con mostre temporanee, convegni, seminari, formazioni e manifestazioni culturali ed ha una biblioteca aggiornata cui attingere. I temi affrontati sono i ruoli femminili (nel tempo, negli eventi e nelle società), l’immagine della donna e la moda, il rapporto con il potere, la legislazione, il lavoro, la medicina, la cultura, la famiglia e gli uomini.
Si inizia il percorso ricordando che nel 1789 furono proprio le donne ad avere un peso fondamentale nello svolgersi degli eventi, perché furono loro ad innescare la miccia quando marciarono in corteo sulla reggia di Versailles costringendo il re a distribuire pane, abolire i privilegi della nobiltà e sottoscrivere la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino. Malgrado ciò, il testo rivoluzionario si declina solo al maschile e, quando nel 1791 l’attivista Olympe de Gouges pubblicherà polemicamente la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, sarà ghigliottinata a causa delle sue rivendicazioni. Un tragico esempio di quanto sia stato duro il percorso femminile nel cammino verso l’emancipazione.
Tra i documenti del museo cito (perché mi ha fatto davvero sorridere) quello intitolato “Utero, l’organo errante”, che riporta le idee degli eruditi sull’organo femminile. Nell’antichità si riteneva che l’uterus (in greco hystéra) andasse colmato regolarmente di sperma per renderlo pesante ed evitare che cominciasse a vagare nel corpo e procurasse crisi isteriche se fosse arrivato nella testa. Per Platone, l’utero era un animale che andava placato con il concepimento di figli e, ancora migliaia d’anni dopo, gli si attribuiva la causa di innumerevoli mali femminili, quali irrazionalità, lussuria, follia, logorrea.
Come testimonianza del pensiero delle donne sulle donne, il museo non poteva non citare Simone de Beauvoir che denunciava come la donna fosse ancora considerata solo “un’ovaia, una matrice” ed ha posto una pietra miliare nella riflessione femminile pubblicando nel 1949 “Il secondo sesso” dove afferma che “Donna non si nasce, si diventa”: l’oppressione dell’uomo è, dunque, un prodotto storico, sociale e culturale, quindi modificabile. I cambiamenti nel tempo sono evidenti leggendo “Noi, ragazze della generazione Z” che, secondo i dati emersi da un’indagine del 2018 svolta sulle studentesse in un liceo di Bolzano, si sentono soddisfatte della propria condizione di giovane donna nel 95% dei casi.
L’evoluzione dell’ideale femminile passa attraverso la collezione permanente allestita come le vie dello shopping, con vetrine in cui ci si può immaginare intrappolate dalle stecche di balena e nelle crinoline o infine liberate dalle minigonne, oppure riconoscersi nell’Imperfetta Project della prima Agenzia italiana di moda inclusiva che mira ad abbattere pregiudizi e stereotipi, proponendo “muse imperfette” che stiano bene nella propria pelle così come sono. Con l’industrializzazione la bellezza è diventata una merce che smuove mercati e luoghi di potere, ed il mondo della moda, della cosmesi, della pubblicità, dei media e dei social lo sanno. Quanto ne sono consapevoli le donne?
Non ho potuto reprimere un brivido davanti ad una silhouette-manichino di colore rosso scuro, in un angolo del museo dove, sopra una sedia è posato un vestito rosso con sotto un paio di scarpe dello stesso colore. È la Campagna “Posto occupato”, per ricordare le donne che non ci sono più. Ti prende lo sgomento considerando il numero enorme di donne vittime della violenza di genere, sia privata che sociale e religiosa ed il pensiero mi va a quello che devono subire attualmente le donne di alcune zone del mondo che vivono in situazione di crudele schiavitù da parte delle politiche maschili. A proposito delle costrizioni vestimentarie, dettate dall’immaginario maschile, accanto alle crinoline io metterei anche un burka e un hijab perché sono strumenti coercitivi che rendono la vita una tortura e, se non indossati o indossati male, portano a incarcerazione o a gravi punizioni corporali, a volte anche letali!
Tra gli scopi del museo c’è anche quello di avvicinarci alla conoscenza della vita delle nostre nonne o mamme e mi sono sentita toccata personalmente davanti ai titoli di studio delle donne che per prime hanno affrontato una formazione in campo medico, in particolare davanti agli strumenti delle levatrici. Mia nonna materna, nata nelle campagne del Veneto, aveva studiato come ostetrica ed aveva preso il Diploma, una vera rarità ad inizio ‘900. Mi sono intenerita di fronte ad uno stetoscopio in legno, che fa parte dei cimeli familiari, così come davanti ad un Certificato universitario di Studi, del tutto simile a quello di nonna, incorniciato e appeso nella mia camera. Dopo aver lavorato e insegnato a Venezia, mia nonna chiese una condotta e sbarcò da sola in un paesino del viterbese negli anni ‘20, arrivando in seguito a Roma, dove ha fatto nascere migliaia di bambini. Circolava impavida durante la guerra anche col coprifuoco e … senza tessera del partito, come ci teneva a dire! È pensando a lei che ho letto le storie di donne non famose, ma straordinarie, che hanno contribuito a migliorare la vita di altre donne.
La visita al museo mi ha dato anche l’occasione per capire un capitolo della vita di mia madre, che, pur avendo lavorato fin da giovane, si era licenziata e era restata a casa dopo il matrimonio, scelta questa, che avevo difficoltà a condividere. Ma nella sezione dedicata alla legislazione italiana, mi è saltata agli occhi questa legge del 1963: “In Italia le donne non possono più essere licenziate a causa del matrimonio; viene loro aperto l’accesso a tutti gli impieghi pubblici (…)”. I miei genitori si erano sposati nel 1958, dunque mia madre aveva solo seguito i dettami dell’epoca, consapevole che con il matrimonio sarebbe stata soggetta a licenziamento! Questa informazione è stata illuminante ed ha cambiato il giudizio che portavo sulla scelta materna.
Nel mondo esistono ottantacinque Musei della Donna sparsi in ogni continente, oltre a trentasette iniziative d’apertura. Il Museo di Merano fa parte della IAWN (International Association of Women’s Museums) che ha come madrina l’avvocata iraniana Shirin Ebadi, premio Nobel 2003 per la pace, ricevuto per il suo impegno in difesa dei diritti umani e della democrazia.
Se ripenso alle circostanze assolutamente fortuite che mi hanno portata davanti all’ingresso del museo, mi dico che sono stata davvero fortunata. Ero dovuta andare a Merano, accompagnata da una coppia di cari amici con cui condividevo qualche giorno di vacanza, per farmi visitare da un dentista e lo studio medico era proprio nelle vicinanze del museo. È così che un contrariante problema di denti ci ha costretti a fare un piacevole viaggio nel viaggio e, come succede spesso quando ci si mette in cammino, capita di fare delle belle scoperte e d’imparare molte cose nuove da aggiungere al proprio zaino.
Alessandra Damiotti
per saperne di più:
www.facebook.com/museo.delledonne/
Frauenmuseum / Museo delle Donne, Meinhardstrasse 2 / Via Mainardo 2, 39012Meran / Merano, Sudtirol /Alto Adige. tel. +39 0473 231216 / fax +39 0473 239453, info@museia.it
À
La visite commence avec le souvenir de 1789 où se furent justement les femmes à avoir une influence fondamentale dans le développement des événements car ce furent elles qui ont mis le feu au poudre avec leur marche sur le château de Versailles, contraignant le roi à distribuer du pain, à abolir les privilèges de la noblesse et à rédiger la Déclaration des Droits de l’Homme et du citoyen. Malgré tout cela le texte révolutionnaire est rédigé uniquement au masculin et, quand, en, 1791, l’activiste Olympe de Gouges publiquera sa déclaration polémique des droit de la femme et de la citoyenne, elle sera guillotinée à cause de ses revendications. Exemple qui montre combien a été dure le chemin des femmes dans la lutte pour leur émancipation.
Parmi les documents du musée je cite, (parce qu’il m’a fait vraiment sourire) celui intitulé :” L’utérus, l’organe errant” qui démontre les théories des érudits à propos du sexe féminin. Dans l’antiquité on disait que l’utérus (en grec hysteria) était rempli régulièrement de sperme pour le rendre plus lourd et éviter ainsi qu’il commence à se promener dans le corps et déclencher des crises hystériques s’il était arrivé jusque dans le cerveau. Pour Platon, l’utérus était un animal que l’on domptait par la conception des enfants et, encore des milliers d’années après, on lui attribuait la source d’innombrables maux féminins, tels que l’irrationalité, la luxure, la folie, la logorrhée.
Comme témoignage de la pensée des femmes sur les femmes le musée ne pouvait ne pas citer Simone de Beauvoir qui dénoncait la femmme, encore aujourd’hui, uniquement comme “un ovaire, une matrice” et qui a jeté une pierre milliaire avec ses idées féministes en publiant en 1949 “Le Second Sexe” où elle affirmait que on ne nait pas femme on le devient”: l’oppression de l’homme est, donc, un produit historique, social et culturel, donc modifiable. Les changements au cours des années est évident quand on lit :”Nous, filles de la génération Z” qui, d’après les résultats d’un sondage de 2018 fait auprès d’étudiantes d’un lycée de Bolzano, se disent satisfaites de leur condition de jeunes femmes dans 95% des cas.
L’évolution de l’idéal féminin s’illustre à travers la collection permanente organisée à l’image de rues commerçantes, avec des vitrines dans lesquelles on l’imagine enfermé dans les dents d’une baleine et d’une crinoline ou enfin délivré par la minijupe, ou aussi se reconnaître dans le projet imparfait de la première Agence Italienne de mode qui visait à abattre les préjudices et stéréotypes en proposant des “muses imparfaites” qui se sentent bien dans leur peau, comme elles sont. Avec l’industrialisation, la beauté est devenue une marchandise qui secoue les marchés et lieux de pouvoir: le monde de la mode, des cosmétiques, de la publicité, des médias et des réseaux sociaux le savent. Combien de femmes en sont conscientes?
Je n’ai pu réprimer un frisson devant une silhouette de mannequin de couleur rouge fonçé, dans un angle du musée, où, sur une chaise est posé un vetement rouge avec, à ses pieds, une paire de chaussures de couleur identique : c’est la Campagne “Poste occupé” en souvenir des femmes qui ne sont plus. L’effroi te saisit devant le nombre impressionnant de victimes du genre, privé, public ou religieux et ma pensée va à ce que doivent encore subir les femmes dans les parties du monde qui vivent en situation cruelle d’esclavage causée par les pouvoirs des hommes. A propos des obligations vestimentaires, dictées par l’imaginaire des hommes, à coté de la crinoline je mettrai aussi la burka et le hijab car ce sont des instruments coercitifs qui sont une torture et, s’ils ne sont pas endossés ou mal, entrainent l’emprisonnement ou de graves punitions corporelles, quelquefois, mortelles!
Parmi les objectifs du musée il y a aussi celui de nous rapprocher de la vie de nos grand-mères et mères. Je me suis émue personnellement devant les diplômes des femmes qui, pour la première fois, ont affronté la carrière médicale, en particulier devant les instruments des sages-femmes. Ma grand-mère maternelle, née dans la campagne du Veneto, avait étudié comme obstétricienne et avait obtenu le diplôme, véritable rareté au début des années 1900. Je me suis attendrie devant un stéthoscope en bois qui fait partie des reliques familiales, comme devant celui d’un Certificat d’Études Universitaires, identique à celui de ma grand-mère encadré et accroché au mur de ma chambre. Après avoir travaillé et enseigné à Venise, ma grand-mère demanda une dérogation et débarqua seule dans un petit village de la région de Viterbe dans les années 20 pour arriver ensuite à Rome où elle fit naître des milliers d’enfants. Elle sortait impassible même pendant le couvre-feu et …sans la carte du parti, comme elle tenait à le dire! C’est en pensant à elle que j’ai lu les histoires de femmes ordinaires mais extraordinaires, celles qui ont contribué à l’amélioration de la vie d’autres femmes.
La visite du musée m’a donné aussi l’occasion de comprendre un chapitre de la vie de ma mère, qui, bien qu’ayant travaillé dès sa jeunesse, a passé une licence, et est rentrée volontairement chez elle après son mariage, vie matrimoniale qu’elle vécut difficilement. Mais, dans la section réservée à la législation italienne cette loi de 1963 m’a sauté aux yeux : “En Italie les femmes ne peuvent plus être licenciées pour cause de mariage; leur est ouverts l’accès à tous les emplois publics (…); mes parents s’étaient mariés en 1958 et ma mère, par conséquent, avait suivi le dictat de l’époque, consciente qu’avec son mariage elle serait victime de licenciement!. Cette information m’a été une révélation et a changé mon jugement sur ses choix.
Il existe dans le monde 85 musées de la femme disséminés dans tous les continents, sans compter 37 nouvelles ouvertures. Le musée fait partie de l’ IAWN (Associations Internationales des Musées des Femmes) qui a, comme marraine, l’avocate iranienne Shirin Ebadi Prix Nobel 2003 pour la paix, reçu pour sa lutte pour la défense des droits de l’homme et de la démocratie.
Si je pense aux circonstances purement fortuites qui m’ont amenée devant l’entrée de ce musée, je me dis que j’ai eu vraiment de la chance. Je devais aller à Merano en compagnie d’un couple d’amis qui me sont chers et avec qui je partageais quelques jours de congé pour une visite chez le dentiste et le médecin qui se trouvaient à proximité du musée, C’est ainsi qu’un problème de dents m’a obligée de faire ce petit voyage agréable “dans le voyage” qui, comme cela arrive souvent pour qui se met en chemin, m’a permis de faire de belles découvertes et d’apprendre tant de choses nouvelles à mettre dans mon sac à dos
Frauen museum/ Musée des Femmes
Meinshardstrasse2/ Via Mainardo 2
39012 Meran/ Merano
Sudtirol/ Alto dige
www.museia.it/ info@museia.it
Tel : +39 0473 231216/ fax +39 0473 239453
F.B: www.facebppkl.com/museo.delledonne/ Blog: www.ichfrau.com