Una storia senza tempo: i fuochi rituali di Sant’Antonio Abate

Il fuoco ha un immenso potere. Serve a carpire il nostro inconscio e a farlo danzare nella notte.

Il fuoco ama i racconti e ne è riamato come accade solo agli innamorati shakespeariani.

Partorisce memorie primordiali, evocazioni, magie. Ed è proprio attraverso le storie e grazie a quell’intimo moto generativo che il fuoco si è tramandato a noi nei millenni.

Le fiamme, ipnotiche o diaboliche, catartiche e spirituali, conservano un posto molto particolare nel nostro codice culturale. Anche adesso che la maggior parte dell’umanità occidentalizzata ne fa esperienza sempre meno in ambito domestico e comunitario, rimangono alcuni riti impermeabili alle tempeste di una solo presunta civilizzazione. Sono sempre gli alberi antichi, le loro radici, a trattenere la frana.

Fuoco di Sant'Abate - 2023 - foto di Adriana Grosso
Il drago nel Fucarazzo di Sant’Antonio abate – gennaio 2023 – Sant’Anastasia. Crediti foto: Adriana Grosso

Il Fucarazzo di Sant’Antonio nelle periferie della Campania o Sant’Antoni ‘e su Fogu nei paesi sardi, è qui, ogni diciassette gennaio, a raccontarci il mistero delle forze che, nonostante umanesimo e antropocene, ancora governano il nostro universo: la vita, la morte, il cambiamento.

Attorno al fuoco rituale è sempre possibile, perfino nella modernità, percepire quale energia sa muovere i nostri corpi nella danza delle Menadi. Grazie al fuoco che si riaccende nella storia, siamo ancora in grado di concepire la purificazione come ripartenza senza colpe: la terra ritesse, attraverso le ceneri della morte, la trama stessa della vita. Senza giudicarci, accoglie. E ci dà una nuova forma.

Attorno al fuoco siamo liberi e libere di ricordare le nostre esistenze precedenti e sentiamo di poterci finalmente perdere nel flusso delle stelle.

Per una notte, e una soltanto, diventiamo una cosa sola con la Rete del Vivente e ci allontaniamo dalla Natura come sfera di dominio della sola razza umana.

È questo abbandono, antico come il sole e potente come il fuoco che del sole è la riduzione, ad aprire storicamente il Carnevale, la festa della maschera che porta la verità.

Il fuoco. Crediti foto: Enza Sola
Il fuoco.
Crediti foto: Enza Sola

Praticato nei riti pagani antecedenti la latinità e, visti i ripetuti fallimenti nel debellarli, canonizzato dalla cristianità attraverso la figura di Sant’Antonio Abate, il fuoco del diciassette gennaio è ancora oggi il capodanno contadino.

In Sardegna è parte integrante della festa dedicare del tempo alla raccolta del legno giusto da ardere e il fuoco prende spesso il nome da quel legno. A Dorgali si chiama su Romasinu perché è fatto di rosmarino e del profumo che sprigiona, oppure è sas frascas nei centri della Baronia perché le pire sono costruite con essenze miste della macchia mediterranea. Quanto può essere forte il legame con la terra se un fuoco ne mutua addirittura il nome? I tronchi e gli arbusti tornano trionfali in paese nella processione de sos carros, un tempo carri trainati dai buoi.

Noi, che alle spalle del Vesuvio ancora viviamo immersi in realtà semi-rurali, scegliamo le fascine e gli arbusti migliori perché il fuoco duri il più a lungo possibile e accendiamo le pire di famiglia in ogni cortile per ricordare chi siamo stati. E chi non c’è più.

Il fuoco dei fucarazzi.
Crediti foto: Enza Sola
Il fucarazzo in Campania. Crediti foto: Enza Sola

In alcuni centri campani, come Macerata Campana o Nusco, la celebrazione è allargata all’intera città e prevede processioni, musica tradizionale, cibo e vino ad ogni angolo. Il cippo (la pira rituale) brucia tutta la notte. Del resto, il sole torna a splendere dopo il solstizio e preannuncia la primavera: difficile immaginare un motivo migliore per darsi ai festeggiamenti.

Anche nella città di Napoli, in misura però molto minore, persiste il rito di Sant’Antuono in quartieri come il Buvero o Forcella dove, senza distinzione tra ricchi e poveri, si gettavano nel fuoco le cose vecchie in segno di rinnovamento.

Tuttavia, aldilà delle declinazioni locali e dell’appropriazione sincretistica del cristianesimo, i fuochi rituali servono ancora a carpire il nostro inconscio e a farlo danzare nella notte.

Antonio Moresco, una delle voci letterarie più intense della nostra contemporaneità, in una recentissima intervista rilasciata a Marco Marino per The Italian Review, dice: “Bisogna avere coscienza di un fatto imprescindibile: essere vivi (…) Bisogna riuscire a sbalordirsi. Molti si proclamano disincantati; ecco, io invece sono incantato. Se non sei incantato non puoi vedere il mondo; se non eserciti l’incanto non sperimenti la vita. Se lo vedi con incanto, tutto ciò che coglie il tuo sguardo ti ritorna con una risoluzione incredibile”.

Il fuoco ha ancora questo immenso potere. Se siamo ormai in frantumi e non riusciamo a cogliere il senso della meraviglia nei dettagli; se, riavvolgendo il fil rouge di Moresco, perdiamo in chiarezza e vitalità, almeno all’inizio dell’anno rivolgiamoci con fede al Fuoco Rivelatore.

Qualunque cosa ci sussurri sarà detta solo per noi. E così, attraverso l’incanto ancestrale, impareremo a sbirciare nei nostri abissi, a scorgere le albe e a riconoscerci nell’anima mundi.

Come accadeva per l’umanità che ci ha preceduto e che abbiamo erroneamente archiviato alla voce “anticaglie”

Fonti

1) Fuochi di Sant’Antonio e Carnevale in Sardegna, Giulio Concu, Imago Edizioni, 2019
2) L’arte di essere nati, Marco Marino – Antonio Moresco, articolo n. 101/2023 – https://www.theitalianreview.com/
3) “O cippo ‘e Sant’Antuono”, di Roberto De Simone, interpretato da Concetta Barra: https://www.youtube.com/watch?v=8Hgw2naL1Sg
4) Articolo Fanpage – https://www.fanpage.it/napoli/o-cippo-e-santantuono-il-17-gennaio-origine-del-rito-ed-eventi-in-campania/

Miriam Corongiu

Scrittrice. Fondatrice de "L'Orto Conviviale".
In questi giorni, mentre voi leggete “inKantata” magari accanto ad un buon caffè nero, scrivo un romanzo e altre storie, faccio la contadina, mi prendo cura della mia famiglia e, sopra ogni cosa, continuo a sognare forte.

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