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Durante un incontro per presentare Donne con lo zaino. Vite in cammino a Bari, raccontavo di Mahboba, mia ex studentessa di italiano, rifugiana afgana da più di un anno e che sta ancora cercando di far riconoscere i suoi titoli di specializzazione come medico chirurgo per poter lavorare nel nostro Paese. Tra il pubblico, invitata da Licia Positò, presidente dell’associazione Spazio 13 c’era Sabana, una giovane donna dallo sguardo dolce e intenso. Parlavamo dunque delle donne che intraprendono viaggi difficili e della forza di ricostruirsi nuove identità e nuove vite, quando Sabana interviene per testimoniare del suo proprio viaggio inconsapevole di 33 anni fa quando, bimbetta di pochi mesi, fu adottata dall’India da una coppia di baresi: un viaggio che le ha cambiato la vita. Inizia sottolineando che il suo racconto è una storia di rinascite e di consapevolezze:
Mi chiamo Sabana Guarino, sono nata il 28/02/1989 a Calcutta nel sud dell’India e sono arrivata in Italia il 13 gennaio del 1990. Sono stata adottata tramite le suore di Santa Teresa di Calcutta. Per me questa adozione ha rappresentato una sorta di RINASCITA, perché non tutti gli adottati (e non) riescono ad avere la stessa esperienza e fortuna che ho avuto io. Per questo mi reputo una sopravvissuta ed una privilegiata.
Racconta di aver voluto, ormai grande, partire in India per scoprire le sue origini, capire la cultura di provenienza -così diversa da quella in cui è cresciuta- (ri)costruire la sua identità con l’altra parte di sé lasciata in India e, soprattutto, capire cosa possa aver portato i suoi genitori a lasciarla nell’orfanotrofio. Inizia un racconto commovente narrato scusandosi per la commozione e le lacrime che sgorgano facilmente dopo la recente perdita del suo amato padre adottivo. Studiando e recandosi poi in India, ha constatato che l’infanticidio delle bambine è ancora molto alto:
Le bambine che nascono in famiglie povere vengono abbandonate (se hanno fortuna) o vengono uccise. Ci sono varie pratiche per indurre alla morte una neonata. Tuttavia, grazie anche ad alcuni progetti internazionali, molte bambine sono state salvate; i numeri, però, sono ancora bassi. Le neonate indesiderate venivano avvelenate con erbe tossiche nel latte o soffocate sotto un asciugamano bagnato o portate ad avere la febbre così alta da farle morire. Se si scopre (raramente) che il sesso del nascituro è femmina, le suocere, in accordo con il padre, inducono la donna incinta all’aborto, a volte anche senza il consenso della madre stessa. Per sottolineare quanto questo problema sia radicato in India, c’è un proverbio indiano che dice: “Avere una figlia è come annaffiare il giardino del vicino”. Ciò significa che avere una figlia non porta guadagno anzi bisogna provvedere sempre al suo sostentamento e alla sua dote. Questo accade perché le famiglie, se povere, non possono permettersi la dote e così si sbarazzano delle figlie femmine.
Ma l’India, fortunatamente, non è solo questo! Molte associazioni, sia indiane che internazionali, con progetti ad hoc, stanno cercando di sensibilizzare le donne delle zone più povere dell’India che seguono questa macabra tradizione. Un articolo di ‘Lifegate’ del 2018 racconta di Poonthaleer di Terre des Hommes Core, uno di questi progetti realizzati (con il sostegno specifico di Terre des Hommes Italia) a Idappadi, nel distretto di Salem, una delle regioni del Tamil Nadu più colpita dalla pratica dell’infanticidio femminile. Grazie a questa azione, oggi, le donne incinte sono monitorate dal governo: ogni villaggio ha un ufficio sanitario con una responsabile che si assicura che a tutte le gravidanze corrisponda poi effettivamente un nuovo nato. Per raccogliere le storie delle bambine salvate dal progetto è nato il reportage fotografico “Le bambine salvate” di Stefano Stranges, fotografo torinese che ha vinto il contest #ioalzolosguardo organizzato dal Festival dei diritti umani.
Mentre Sabana racconta penso al dolore delle tante donne costrette a separarsi in modo così violento dalla loro neonata ed alla disperata condizione in cui vivono o vedono il futuro delle loro figlie. Penso alla rivoluzione della maternità consapevole nei Paesi dove la contraccezione e l’IVG sono permesse e diffuse, e a quanto questo abbia migliorato la condizione delle donne e della società in generale. Per associazione di idee, ripenso anche all’ultimo romanzo autobiografico di Maria Grazia Calandrone Dove non mi hai portata nel quale l’autrice, dopo una minuziosa e quasi giornalistica indagine dei fatti, si riappacifica con la scelta della madre di abbandonarla prima di suicidarsi. La mamma infatti si era accertata che la bimba, lasciata nei giardini del Quirinale, fosse stata ritrovata da qualcuno di affidabile prima di dirigersi sulle sponde del Tevere e annegare volontariamente insieme al suo compagno. Genitori che l’amavano -secondo tutte le prove ed evidenze- ma che, privi come erano di legittimità e risorse nell’Italia degli anni precedenti alla legge sul divorzio e del nuovo Statuto della Famiglia, decisero di abbandonarla per offrirle un futuro migliore mentre sceglievano, per loro stessi, la morte. Una storia inversa a quella di Sabana che però ha in comune la salvezza di un abbandono (e non della morte) e, soprattutto, di una rinascita grazie all’adozione. Mi resta però come un rumore di fondo di voci, pianti e urla di tante bambine e madri che avrebbero potuto avere un destino diverso, a compiere scelte diverse con un po’ di sostegno. D’altra parte mi torna in mente la mia difficile esperienza di domanda di adozione e penso con ammirazione alla determinazione di tanti genitori adottivi che devono superare un percorso ad ostacoli davvero complicato. Sabana prosegue il suo racconto: Per me c’è stata una seconda vita, faccio parte di quella piccola percentuale di bambine salvate ed adottate. Grazie all’adozione ho potuto studiare, raggiungere i miei obiettivi, ma soprattutto AVERE degli obiettivi, il che non è assolutamente scontato per chi nasce in Paesi in cui l’istruzione è una questione di secondaria importanza per alcune famiglie. E questo non solo grazie alla mia determinazione e volontà di emergere e fare un cambiamento importante della mia e delle altrui vite, ma soprattutto grazie all’aiuto e al supporto economico e morale dei miei genitori. In maniera particolare di mio padre, che ora non c’è più, ma che mi ha sempre supportata in tutte le tappe della mia vita. Sono un po’ il risultato dei suoi insegnamenti e ho ancora tanto da imparare. Sabana si è laureata in Giurisprudenza e lavora come operatrice legale nel settore dell’immigrazione. Della sua ricerca delle origini ha tratto anche l’amore per la danza indiana: è anche ballerina e ne è molto fiera. Afferma di essere cresciuta in un contesto sociale scolastico in cui si sentiva spesso in minoranza e a volte la più “debole”, presa in giro per il colore della mia pelle e per il nome, ma questo l’ha rinforzata facendo crescere in lei la necessità e la voglia di doversi difendere e di difendere gli altri: Sono cresciuta avvertendo nel mio intimo la diversità. In particolare per il colore della mia pelle, diverso da quello dei miei genitori e anche per il mio nome indiano. Un giorno, ero molto piccola e uscendo dall’asilo chiesi a mia madre perché io avessi quel nome tanto diverso e particolare rispetto a quello dei miei compagni, lei mi rispose: “Perché la mamma che ti ha fatto nascere ti ha dato questo nome”. Mia madre mi ha raccontato che per un bel po’ di tempo sono stata convinta che ci fossero due madri in due fasi della vita: una mamma che ti fa nascere e quella che ti cresce, come se fosse un passaggio naturale. Ci volle un po’ di tempo per comprendere ed interiorizzare il concetto di adozione. Il sentimento dell’abbandono, credo, sia comune a tutti gli adottati, indipendentemente dal colore e dal Paese da cui provengono. È una sensazione brutta, alle volte, perché ti fa sentire solo, non voluto, non amato, in un certo senso come se fossi sbagliato! Per quanto non avessi ricordi diretti dell’abbandono, il solo fatto di sapere di essere stata abbandonata, ha fatto nascere in me questo senso di inferiorità. Non oso immaginare chi, invece, ha ricordi indelebili di quei momenti. Sono cresciuta con l’odio nei confronti dell’India e dei miei genitori che mi avevano lasciato. Negli ultimi anni, invece, da quando ho preso in mano le mie origini, ho potuto comprendere che i miei genitori biologici mi hanno portata all’orfanotrofio di Shishu Bhavan di Madre Teresa di Calcutta, per amore. Ci son voluti molti anni, prima che comprendessi davvero questo e che perdonassi loro e me stessa. Ho compreso quanto debba essere difficile per dei genitori allontanare la propria figlia/o; i miei avrebbero potuto fare come molti altri, abbandonarmi altrove o mettere in atto quelle aberranti pratiche di cui ho parlato prima. Eppure, loro hanno scelto di salvarmi e darmi un’altra possibilità. E per questo posso solo ringraziarli.
Sabana racconta poi un importante ricordo che condivide con il pubblico attento e partecipe: il giorno dell’imprinting con i genitori adottivi. I primi giorni nella nuova famiglia la piccola Sabana piangeva moltissimo ed i suoi neogenitori non sapevano come calmarla. Una notte, dopo vari tentativi, suo padre prese un sonaglino e lo sbatté ripetutamente sulla sua mano poi lo mise nella manina della neonata che, sorprendentemente, ripeté esattamente lo stesso gesto: Fu quello il momento in cui entrammo in sintonia, da quel giorno fu tutto in discesa. Da quel giorno è iniziata la mia Rinascita! La mia seconda Rinascita è avvenuta durante il mio primo viaggio in India, a gennaio del 2018. Quando sono arrivata in hotel, al Fort Canwa a Luni (in Rajastan) durante la cerimonia di benvenuto ho davvero realizzato che mi trovavo in India… è stato allora che mi sono effettivamente resa conto di essere nel Paese in cui ero nata. Cresciuta (allora erano 29 anni, oggi ne sono 33 quasi) in Occidente, ho fatto fatica ad orientarmi e ad accettare una cultura tanto diversa da quella che sono stata abituata a vivere.
È strana la sensazione che si prova nel proprio Paese di origine, ti senti straniera, anche quando la gente (uguale a te per la maggior parte), ti guarda, fa cenni di consenso, ti saluta, ti tratta in modo diverso, ma uguale a come tratterebbero gli indiani. Per esempio, pagai un biglietto allo stesso prezzo degli indiani, per il solo fatto che fossi…di colore. Certo è che mi sono presentata come se vivessi a Calcutta, in un hindi improvvisato. Questa sensazione dello “straniero”, a volte, la provo in Italia, molto meno, perché ci son cresciuta. L’India per me è stata anche una scoperta, un riaffermare alcune cose che già masticavo, grazie allo studio sulla danza. Andare lì è stato un RI-acquistare e RI-conquistare la mia identità. Io non ho ricordi della pre-adozione essendo arrivata in Italia a soli dieci mesi e mezzo e un po’ invidio chi ne ha, però credo che tornare nei luoghi d’origine mi abbia aiutato a capire chi sono ed a migliorarmi come persona, a migliorare la percezione che ho di me stessa e degli altri.
Il soggiorno di Sabana nel Paese che l’ha vista nascere è durato poco più di un paio di settimane; tra i vari aneddoti racconta di quando, dopo solo una settimana, chiese alla madre al telefono di farle trovare un buon ragù al suo ritorno. Apprezza molto la cucina di sua mamma che descrive come una cuoca eccezionale con il tocco calabrese che le viene dalle sue origini. Avrebbe tante cose ancora da narrare ma chiude il suo racconto con un aforisma ed un commento significativo per la sua storia di rinascita e conspevolezza: “Un’abitazione è fatta con muri e travi; una casa è costruita con amore e sogni”. Ed io di amore ne ho avuto tanto; di sogni, li avevo e continuo ad averne tanti.
P.