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La poesia è come l’opera: o la ami o la odi… per parafrasare una frase del più che noto film
“Pretty woman”. C’è chi se ne droga e chi la evita come fosse un agglomerato di parole in fila, ordinato per versi, nei quali perdere la testa nel bene o nel male. Ecco, direi di poter affermare con assoluta certezza che faccio parte della prima categoria, quella dei dipendenti.
Alcuni versi li sento scendere in posti così profondi che, strato dopo strato, potrei perderci i sensi. Perché la poesia fa un po’ questo, secondo me, ti toglie i piedi da terra e ti presenta la possibilità di fare un viaggio. Vediamo meglio le motivazioni del perché questo accade o più semplicemente, per quella che è la mia esperienza, dove ti porta.
Intanto devo fare una precisazione. La poesia la leggo e la scrivo e, a volte, quando scrivo troppa poesia devo sforzarmi di fare esercizi narrativi per pulire un po’ lo stile perché si permea di metafore, suoni, ritmi, così tanto che poi mi resta difficile seguire il piano narrativo. Nonostante questo posso affermare che c’è un solo posto dove la poesia mi porta: dentro, nel punto più profondo. Perché è lì che percepisco quel canto.
Quando le persone arrivano da me per frequentare qualche corso di poesia vogliono prima sapere come si fa, come si entra in quel mondo, come si versifica, quali sono le tecniche per produrre una metrica capace di essere gradevole agli occhi di chi legge. Non funziona così, almeno per la strada che ho scelto di seguire io. Si può imparare quali sono le regole e le leggi del piano metrico ma per fare poesia non ci si può limitare a questo, deve accadere altro, occorre farne esperienza per poi chiedersi quanto siamo capaci di connetterci con il cuore e con il sentire. Per chi ci prova o per chi ci riesce, il risultato poi è importante perché si può assistere ad una fotografia di quella visione che abbiamo voluto tradurre in parole o di quelle emozioni che abbiamo sentito dentro e che dunque siamo riuscitə a contattare.
Messa in questi termini non è semplice perché una cosa risulta subito chiara: per fare poesia devi essere dispostə a mettere da parte la vergogna. Leggere una poesia, infatti, significa farsi una idea abbastanza precisa del grado di sensibilità della mano che l’ha scritta ed anche comprendere che chi scrive deve potersi prima emozionare per poi fare lo stesso con chi legge.
Insomma, non per tuttə può sembrare una grande cosa ma –come dicevo in incipit- dipende dal punto di vista. Chi come me ama i viaggi interni, il mondo sommerso delle emozioni e l’introspezione, troverà tutto questo fantastico. Chi, invece, vorrebbe non dover avere mai a che fare con queste “questioni” viene da sé che non avrà simpatia per questi testi né in generale per la poesia.
Fatte queste premesse vediamo insieme qualcosa in più sul canto poetico. Intanto può piacere o no ma è alla portata di tutti e parlo sia della lettura che della scrittura.
Iniziamo dalla prima. È molto più facile sentir dire da qualcunə che non ama leggere libri di poesia ed è molto più difficile che quella stessa persona dica che non ama ascoltare canzoni. Ora la questione di quanto la canzone possa essere considerata o meno una forma poetica –o letteratura- è controversa, ci sono pareri discordanti da sempre e il boom di questa controversia si è riaccesa con l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan, nel 2016. Non voglio entrare nel merito ma sottolineare che al di là di quanto possano essere vicine o di quanto entrambe possano essere considerate o meno letteratura, queste due forme di canto sono per me in qualche modo vicine anche considerando che leprime poesie venivano proprio declamate, cantate e spesso accompagnate dal suono della Lira o di analoghi strumenti a corde.
Quello su cui voglio spostare l’attenzione rispetto a questa diatriba è che alcuni testi delle canzoni, secondo me, ci toccano ed arrivano dentro non solo grazie all’ausilio delle note musicali che l’accompagnano ma proprio per quello che dicono, per la frequenza delle parole che ci arrivano. Per questo penso che ci sia anche un po’ di pregiudizio rispetto alla poesia, in parte derivante dall’incontro scolastico e dell’esperienza in merito da parte di ciascunə. E anche qui parlo della mia esperienza. Cioè, se dicessi di essermi innamorata della poesia ai tempi della scuola… mentirei! Ai tempi ho iniziato, invece, ad apprezzare proprio i testi di alcune canzoni -che trascrivevo- per leggere quelle parole e non per ascoltarle in musica. Poi, in seguito, incontrare quei poeti che non si studiano a scuola e che mi hanno fatto interessare a questa forma di espressione artistica parla del resto della mia esperienza.
Per quanto riguarda invece la scrittura, tenendo fermi i punti già toccati posso aggiungere che è limitante dire quanto si possa insegnare o meno a scrivere poesia. La poesia secondo me si può imparare come ascoltarla, come entrarci in contatto, e allora diventa più una esperienza che un esercizio tecnico. Perché insegnare come si scrive diventerebbe una formula matematica. Cioè, potrei condividere con chiunque le regole da seguire per scrivere un endecasillabo ma davvero basterebbero, da sole? Io non credo.
Ecco perché scrivere poesia significa per me cantare e condividere le vibrazioni più profonde della propria anima. Tutto il resto possono poi essere strumenti necessari a produrre in chi legge anche l’esperienza di un ascolto di quel canto e non solo la lettura di quelle parole. Discorso articolato… lo riassumerei così: per me scrivere poesia significa prima essere dispostə a contattare la propria voce interiore, le proprie più profonde emozioni, poi usare le parole giuste per rendere quella condivisione armonica. Infine scoprire se dentro di noi esiste l’attitudine al linguaggio poetico che, alla fine dei conti, è un po’ la prova del fuoco perché possedere questo dono significa essere destinatə non solo alla produzione di testi ma ad incarnare l’essenza del poeta; un po’ come dire che nessuno nasce stonato –come dico sempre- perché l’orecchio va solo educato, ma con la voce da tenore ci devi nascere.
Ora se hai letto fin qui e se sei interessatə al mondo della poesia, a entrare in contatto con la lettura di qualche testo poetico o a qualche primo approccio alla versificazione, spero che in queste parole tu possa aver trovato qualche spunto per iniziare. In fondo, ci sono vari livelli di approccio al mondo del canto poetico.
Ti auguro perciò di trovare la tua porta d’accesso e di lasciarti sorprendere dalla sindrome di Stendhal che a volte, per chi ama il genere, si può provare quando leggendo una poesia ci si accorge che il poeta è stato capace di creare, con quelle parole, una visione, un quadro, un senso, un significato destinato a risuonare, a permeare dentro di noi per molto, molto tempo, a volte per sempre.
«Il Poeta assomiglia al principe dei nembi // Che abita la tempesta e ride dell’arciere; // Ma esule sulla terra, al centro degli scherni, // Con le sue ali da gigante non sa camminare.» Charles Baudelaire – L’albatro (I fiori del male)