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Appartengo alla generazione di bambini che hanno imparato a leggere e scrivere prima di arrivare sui banchi di scuola, accanto ai nonni analfabeti per i quali il Maestro Manzi tracciava con il carboncino segni che poi diventavano progressivamente figure intellegibili.
Lo faceva per tenere desta l’attenzione e per associare le immagini alle parole che via via i milioni di analfabeti che lo seguivano nella famosa trasmissione “Non è mai troppo tardi” imparavano a decifrare. Grazie alla sua voce suadente e al suo carisma, teneva inchiodati davanti allo schermo operai e contadini riuniti, dopo una giornata di lavoro, nei “posti di ascolto” attrezzati con una televisione (non era ancora il tempo in cui in casa c’erano più schermi che persone…).
Come descrivere l’incanto (è la parola più appropriata!) che provavo nel seguire il programma che contribuì alla mia ‘alfabetizzazione precoce’, insieme alla frequentazione di libri che ‘guardavo’ con la voglia di poterli leggere da sola visto che ‘i grandi’ intorno a me non potevano soddisfare la mia voglia inesauribile di letture. Mentre insegnava l’alfabeto, il Maestro trasmetteva la meraviglia e la curiosità per tutto ciò che ci circonda, e questo incanto ha generato in me la sete di conoscenza, il piacere della lettura, il gusto di disegnare oltre al desiderio–ma questo lo scoprii più tardi- di voler diventare insegnante.
Cinquant’anni dopo (‘non è mai troppo tardi’ appunto), nel 2015, decisi di fare un dottorato in Francia (dove vivevo e lavoravo): mi proposero nomi celebri della letteratura italiana ma il mio progetto era chiaro e improrogabile: volevo far ri/scoprire il grande Maestro, figura chiave nello sviluppo culturale e linguistico italiano e del rinnovamento della letteratura per ragazzi dal dopoguerra in poi. Alberto Manzi è, infatti, anche l’autore di numerosi romanzi tra i quali Orzowei, il ragazzo ‘selvaggio’ che ci parla di razzismo e di bullismo mezzo secolo prima che diventasse un tema abbordato nei testi per ragazzi.
Maestro, giornalista, formatore, poeta, divulgatore, narratore, ‘rivoluzionario’: tante sono le vite che Alberto Manzi ha vissuto, tutte con l’idea che “Ogni altro sono io”, ovvero, come scriveva Sartre in L’existentialisme est un humanisme: “Niente può essere buono per noi senza esserlo per tutti”.
La tesi di dottorato è diventato poi un libro divulgativo, “Ogni altro sono io” Alberto Manzi maestro e scrittore umanista (Castelvecchi, 2024), uscito il 5 aprile scorso, in occasione del centenario della nascita di Alberto Manzi. Nel saggio analizzo i suoi testi narrativi e divulgativi e metto insieme le sue varie vite trovando il fil rouge che le lega ovvero un umanismo che permea tutte le sue attività: l’educazione, la scrittura, i media (TV con altri programmi tra cui: “Educare a pensare”, “Fare e disfare”, “Impariamo insieme” precursore dei corsi di italiano per immigrati, e tanta radio), l’America Latina. La fase della vita che lo portò ogni estate sull’altipiano andino per una ventina di anni accanto alle comunità di indios e campesinos, è un altro aspetto largamente sconosciuto di Manzi. Inizialmente partito per studiare una specie endemica di formiche della foresta amazzonica (era anche biologo oltre che pedagogista), scopre la dura condizione dei nativos, assoggettati dalle compagnie minerarie o dai latifondisti che sfruttavano le comunità locali con la connivenza del potere politico, giudiziario e religioso. Manzi si schiera a fianco degli oppressi alfabetizzando comunità intere affinché si potessero iscrivere al sindacato e far valere i propri diritti; da queste esperienze ne trae ispirazione per i romanzi La luna nelle baracche, El loco, E venne il sabato. Nel saggio evidenzio inoltre l’attualità dei suoi testi anche grazie ad esperienze dirette di lettura nelle classi –dalla scuola dell’infanzia al liceo- di varie latitudini e contesti culturali. Gli elementi che lo fanno considerare un precursore nel settore della letteratura per ragazzi, rendono i suoi testi ancora oggi una lettura importante e indispensabile, da annoverare tra i classici intramontabili. Lo stile accattivante e i temi cruciali che tratta: il razzismo nelle varie forme, le ingiustizie sociali, l’alfabetizzazione e la cultura come riscatto, la solidarietà e la coesione, la disobbedienza civile, la tratta degli organi e il lavoro minorile ma anche l’ecologia e la pace, sono elementi che ogni insegnante, bibliotecario/a, genitore dovrebbe considerare nelle scelte di lettura per i più giovani. Alberto Manzi, nei suoi testi, trasmette sempre un messaggio, dei valori ancor più indispensabili al giorno d’oggi. La lettura di un suo romanzo è un’esperienza emotivamente forte perché, come scrive lui stesso, vuole: “far sorgere nei giovani la coscienza (coscienza, non solo conoscenza), far sapere loro che esistono certi problemi e che ognuno è chiamato a risolverli”.
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente il maestro Manzi quando, giovane aspirante maestra, mi ricordai dell’incanto provato da bambina davanti alle sue lezioni televisive e lo contattai per avere lezioni private. Scoprii un uomo generoso che metteva a disposizione gratuitamente la sua esperienza e la sua vasta cultura a tutti coloro fossero animati dalla convinzione che insegnare è una meravigliosa avventura umana oltre che professionale. Come racconto nell’introduzione del mio libro, da quegli incontri non ricavai mai lezioni preconfezionate da utilizzare in classe ma mi inebriavo della passione e della grande competenza di un uomo e maestro che andava coraggiosamente avanti nello sperimentare una didattica che avesse senso. Coraggioso anche quando si trattava di rifiutare la normativa che imponeva i giudizi nelle nuove schede di valutazione e per questo rimase diversi mesi senza stipendio dopo i vari richiami per aver timbrato le schede con la formula che aveva creato: “Fa quel che può, quel che non può non fa”. Coraggioso quando portava i ragazzini su un vulcano per osservazioni scientifiche o al campo di concentramento di Dachau “per la sola lezione di storia che valesse la pena di fare”. Mi incantavo ancora nell’ascoltarlo spiegare già quarant’anni fa che la scuola doveva superare il nozionismo per stare al passo con i tempi marcati dai continui cambiamenti. “Educare a pensare” e “Imparare a imparare” sono intenti pedagogici oggi –almeno teoricamente- condivisi, ma erano decisamente all’avanguardia quando li formulava Alberto Manzi che ha costruito tutta la sua didattica su queste finalità.
Lasciamoci allora incantare ed ispirare dalla figura e dai romanzi di Alberto Manzi, perché abbiamo bisogno più che mai di buoni maestri e maestre e di una letteratura che scuota le coscienze e sappia parlare alle menti e ai cuori.
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