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Giovanna Profumo, Genova
L’amicizia con Giovanna è nata su una piattaforma virtuale, in una conversazione corale settimanale tra sei donne di Roma, Genova, Palermo, Milano e Sestri Levante. Io conoscevo solo una di loro che mi aveva introdotto in questo gruppo che durante il confinamento ci è stato di sprone e sostegno. Durante gli incontri parlavamo di come affrontare i nostri problemi, vita quotidiana, politica, ma anche di libri e fotografia.
Giovanna l’ho registrata subito nel mio immaginario con l’appellativo di pasionaria: sempre irruente nelle sue descrizioni, nelle sue proteste, ma anche nell’offrirsi senza filtri, semplice e diretta.
Ci siamo incontrate di persona un giorno a Sestri Levante, l’ho percepita al tempo stesso forte ma leggera quando dal terreno pubblico si è passati a parlare del privato. Mi è apparsa di una spontaneità sorprenderete e mi sono stupita quando, dopo aver letto il suo libro, ho constatato che la sua scrittura era come mi era apparsa lei al nostro primo incontro.
Giovanna Profumo nel libro “Come si fa” dà voce a Nita, una bambina, e all’universo familiare in cui vive, attraverso episodi che come lampi arrivano al lettore. Giovanna è riuscita ad incantarmi con la sua narrazione diretta e innovativa. Sembra di percepire tra le pagine il profumo dei suoi primi anni, così come suggerisce il suo cognome.
Così si racconta per il blog “Donne con lo zaino”.
Sono nata a Genova il 28 luglio del 66, dico la mia età rispetto a chi la nasconde, perché il tempo che passa è quello che abbiamo vissuto ed è un valore, siamo in un mondo in cui si fa molta fatica ad accettare di invecchiare, non è permesso. Ho una figlia e un figlio ormai grandi, sono sposata da 31 anni. Mi sono laureata in Storia con una tesi sull’immagine della donna nel cinema del secondo dopoguerra. L’amore per il cinema è sempre andato di pari passo con quello della scrittura.
In uno dei miei racconti, “Lucine” c’è Nita che va al cinceclub. È un luogo che a Genova esisteva davvero, si chiamava “Filmstory”, io ci andavo con mia zia, un’insegnante di lettere molto generosa e solitaria che non aveva mai avuto un compagno. La domenica pomeriggio vedevamo film americani di cui era patita. Ammiravo Ginger Rogers e Fred Astaire, Audrey Hepburn, poi Katherine Hepburn e Spencer Tracy. Non sono un’esperta, ma ho imparato da allora ad amare i bei film, il mio preferito è Citizen Kane di Orson Welles.
Le chiedo :Che persona sei? Cosa ti piace? Raccontami il tuo percorso sino ad oggi.
Se dovessi riassumermi in qualche modo direi in prima battuta che sono molto determinata a combattere le ingiustizie, sarà forse per la lunga militanza sindacale nella Fiom-Cgil dell’Ilva di Cornigliano. Amo la lettura, sono appassionata di libri, adesso leggo, come ogni anno, la dozzina del premio Strega. Mi piace condividere i pensieri sui romanzi che leggo sulla mia pagina Facebook, e mi diverte cucinare. Nella mia vita, oltre alla militanza sindacale (sono dipendete di Ilva in AS ed ora svolgo gli lpu in una biblioteca e, come me, molti colleghi in altri progetti) è stato importante anche il movimento dei Girotondi per la Democrazia che a Genova era formato da un gruppo di studenti, professori e persone provenienti da varie realtà. In quel periodo ricco di volontà di cambiare il paese e la politica è nato a Genova, grazie allo storico Claudio Costantini, l’Osservatorio Ligure sull’informazione (OLI). Costantini sapeva che il potere dell’informazione è enorme, voleva partire proprio da lì, da un esame di quello che pubblicavano le pagine locali dei quotidiani. Così è nata una newsletter, poi diventata un blog. Io mi dedicavo ad articoli di politica, lavoro, libri e approfondimenti sociali. Ognuno di noi scriveva un pezzo a settimana, di massimo 500 parole. È stata la mia formazione, ho imparato a sintetizzare e cogliere l’essenziale. La redazione era composta da Camillo Arcuri, un bravissimo giornalista scomparso la scorsa estate, e persone provenienti dall’università, dal sindacato, dal settore artistico, dal mondo del lavoro.
Un mio articolo che desidero ricordare di “Oli” era uscito nel 2009 e raccontava di un reparto di psichiatria dell’ospedale San Martino di Genova. Scrivevo delle condizioni di quel reparto. Era stata costruita una gabbia all’esterno per far fumare i pazienti. Quel pezzo, ripreso da Repubblica, ha costretto la direzione a smantellare la gabbia, sono fiera di quella conquista piccolissima nel mare di cose incompiute della legge Basaglia, dove a distanza di quarant’anni ci sono ancora battaglie da vincere.
Rimpiango quel periodo perché a livello di scrittura mi faceva restare sulla notizia politica. Da quando non esce più l’Osservatorio mi sono allontanata dalla descrizione dei fatti politici e mi dispiace.Scrivo da quando avevo 18 anni.
Mi racconti di questo tuo libro?
“Come si fa” è costituito da 17 racconti ispirati all’infanzia, tanti piccoli episodi significativi. Mentre scrivevo è come se avesse preso voce la “me” bambina, è stato davvero particolare: ognuno di noi si porta dentro il suo “io” bambino. Così mi sono resa conto che succedeva una cosa strana ed efficace per i lettori , ho notato che narrativamente funziona, perché è una voce diretta, senza filtri. Nel mio volume c’è l’immaginario dell’infanzia con il timore della morte, le considerazioni rispetto alle fate, alle streghe, soprattutto il potere dell’elemento magico sull’esistenza nel mondo infantile. Anche nel parlare di droga e depressione è rimasto lo sguardo bambino che racconta senza giudizio, Nita sa che ci sono degli inganni e scopre le bugie.
Hai altri scritti nel cassetto?
Nel cassetto ho un romanzo, scritto diversi anni fa, che racconta di un incidente sul lavoro ed è ambientato in uno stabilimento siderurgico, s’intitola “A rotoli”, poi altri racconti, infine diverse favole con protagonista una strega che desidera essere una fata.
Chiedo a Giovanna dei suoi viaggi e come sarebbe il suo zaino ideale:
Mi piacerebbe vedere il mondo, ma basta anche una visita a un museo, o andare su una spiaggia per essere felice, stare fuori anche solo per brevi periodi, anche senza prendere un aereo. Adoro la Puglia e la Sardegna e non sopporto le mete troppo affollate.
Se dovessi pensare al mio bagaglio ideale lo riempirei di libri, tutte le sere leggo fino a tardi. L’ultimo romanzo letto è “Si vede che non era destino” di Daniele Petruccioli , l’altro è “Come d’aria” di Ada D’Adamo, che consiglio.
Nel mio zaino spirituale ci stiperei la comprensione verso le situazioni, l’ascolto e la giustizia. Lascerei da parte decisamente l’aspetto esteriore delle cose. Vorrei anche imparare ad arrabbiarmi di meno.
Saluto la mia amica, mi mancano gli incontri settimanali con lei, Elena, Silvia, Alisia, Cristina e Paola. Il gruppo si chiamava Sorellanza e le chiedo cosa significhi per lei questa parola:
La sorellanza è quella che abbiamo agito nel nostro gruppo in rete, quando ci vedevamo durante il lockdown, il gruppo era nato perché una di noi aveva scritto su Facebook che la “sorellanza” non esiste… E alcune di noi le avevano risposto… Ricordi Raffaella? Ed eravamo state in ascolto, volevamo capire le sue ragioni. Ci siamo connesse ed è nato qualcosa, anche una lettera indirizzata a Mario Draghi, dopo che, tutte insieme, avevamo deciso di leggere il PNRR nell’estate del 2021. Ma sorellanza è anche supportarsi reciprocamente tra donne, se c’è un’amica che ha bisogno, esserci, è una cosa tipica dell’universo femminile, la fatica delle donne è grande, una di esse adesso è in pena per una malattia di una persona amata e cerco di starle vicino tutte le volte che percepisco il suo dolore.
R.