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(en français après les photos) Rosa Bonheur non è solo il nome della guinguette (bar bateau) ancorata sulla Senna davanti al Musée d’Orsay ma è soprattutto una pittrice francese specializzata in “art animalier” e per questo considerata secondaria, oltre al fatto di essere una donna in un ambiente all’epoca prevalentemente maschile e di non essere stata mai supportata da un marito, avendo scelto la vita indipendente condivisa prima con Nathalie Micas per più di mezzo secolo e poi con la pittrice americana Anna Kumplke, negli ultimi dieci anni della sua vita.
Scopro la sua biografia e la sua opera all’occasione della mostra al Musée d’Orsay, a Parigi, a lei consacrata per il bicentenario della nascita. Donne straordinarie, legate da relazioni profonde: Nathalie, pittrice e esperta di meccanica brevettò un sistema di freni di treni; Anne l’aiuterà a scrivere le sue memorie e si occuperà dei suoi beni e fondando il Premio Rosa Bonheur.
Se i critici hanno disdegnato a lungo l’opera di Rosa considerandola kitsch, lei stessa è stata un modello di indipendenza, sia professionale che personale, per altre artiste quando, agli inizi del XX secolo, rivendicavano il diritto delle donne a risiedere come membro della commissione del Salon des artistes français. Eppure, nel 1865, è la prima donna artista a essere nominata dall’imperatrice Eugénie Chevalier della Légion d’honneur.
Davanti al suo imponente quadro Le Labourage nivernais del 1849, leggo che si ispirò al romanzo La Mare au diable di George Sand con la quale condivideva senz’altro il gusto per la libertà e la relazione con la natura. Mi chiedo se la critica che pone generalmente George e Rosa tra le scrittrici e pittrici di serie B non derivi dall’incapacità di cogliere nell’interezza la forza vitale di due donne che hanno saputo conciliare la necessità di sopravvivere senza supporti maschili (indispensabili all’epoca) con lo slancio creativo. Chopin, de Musset e Flaubert non avrebbero forse avuto la stessa serenità e disposizione alla perfezione nella loro opera senza il supporto finanziario, logistico e psicologico di George mentre lei era costretta a produrre pagine su pagine, di notte, per poter guadagnare il necessario dopo aver assicurato, di giorno, la vita quotidiana alla famiglia e all’amante-artista di turno.
Rosa, quanto a lei, ha saputo mettere in atto una strategia commerciale per assicurarsi l’indipendenza finanziaria che le garantisse la libertà di non sposarsi. Crea perciò un atelier in società con Nathalie e sua sorella Juliette perché le sue opere siano riprodotte in stampa dalla Maison Goupil che desidera diffondere l’arte. Brava anche nella comunicazione, rilascia interviste e fotografie e parte in tournée con i mercanti d’arte per fare promozione e allargare la rete di vendita dei suoi quadri: un’imprenditrice ante litteram.
Figlia d’arte, è stata educata alla pittura come capitava a molte giovani donne di buona famiglia che però, in genere, dovevano limitarsi a praticare il disegno come passatempo per ‘ingentilirsi’ non certo per entrare nel mercato a predominanza maschile. Tutto ciò concerne Rosa la cui madre, Sophie Marchisio (1797-1833), figlia illeggittima nata ad Altona (Città libera di Amburgo nel Sacro Impero), viene adottata da Jean-Baptiste Dublan de Lahet, un ricco commerciante di Bordeaux che solo in punto di morte svelerà alla figlia di essere il vero padre. Jean-Baptiste educa Sophie al disegno, alla musica e alla pittura come si conveniva; la giovane si sposerà nel 1821 con il pittore Raymond Bonheur che le insegnava il disegno. Nel 1822 nasce Rosa che viene incoraggiata e guidata dal padre a praticare l’arte insieme ai suoi fratelli Auguste, Juliette e Isidore, che diventeranno i primi pittori e l’ultimo scultore. La famiglia si trasferisce a Parigi quando Rosa ha sette anni; il padre si coinvolge in attività legate a Saint-Simon e, quando muore il suocero, vero sostegno della famiglia, Sophie dovrà lavorare ma vivranno poveramente fino alla morte della donna, a soli 36 anni, probabilmente di colera. La perdita della mamma fu un trauma per l’undicenne Rosa che conobbe tre anni dopo l’allora dodicenne Nathalie Micas che divenne sua compagna fino alla sua morte, 53 anni dopo. Nel 1849, alla morte di suo padre, andrà a vivere nella famiglia di Nathalie, non sopportando la matrigna.
Testimonianze familiari affermano che Rose era una bimba indisciplinata con difficoltà ad imparare a leggere e che la madre l’aiutava ad imparare le lettere dell’alfabeto associandole a un disegno di animale, mondo verso cui Rosa era da sempre straordinariamente attratta. La vita in campagna, nello château Grimont a Quinsac le è infatti congeniale: la considerano un maschiaccio. Continuerà tutta la vita con comportamenti poco convenzionali: portare i capelli corti, a fumare sigari e sigarette in privato, rifiutare il matrimonio che rendeva subalterne le donne al marito. Secondo la legge doveva chiedere ufficialmente ogni sei mesi alla Prefettura di Parigi il permesso di indossare i pantaloni per andare a cavallo ovvero viaggiare e recarsi alle fiere e mercati di bestiame. D’altra parte con l’enorme quadro Le Marché aux chevaux, (2,44 × 5 m) entra nel dibattito delle critiche tra classicismo e romanticismo e viene riconosciuta in una rivista come “una pittura da uomo, solida, autentica…”, massimo dei complimenti per una donna pittrice! Anche Théophile Gautier scriverà per elogiarne il talento: « Nous avons toujours professé une sincère estime pour le talent de mademoiselle Rosa Bonheur, avec elle, il n’y a pas besoin de galanterie; elle fait de l’art sérieusement, et on peut la traiter en homme. La peinture n’est pas pour elle une variété de broderie au petit point » (trad. Abbiamo sempre professato una stima sincera per il talento della signorina Rosa Bonheur, con lei, non c’è bisogno di galanteria; fa dell’arte seriamente e la si può trattare come un uomo. La pittura non è per lei una variante del ricamo.”
Espose per la prima volta al Salon nel 1841, a diciannove anni, e continuerà con riconoscimenti che le permisero di essere indipendente economicamente e ricevere degli ordini anche statali di quadri come, appunto, Labourage nivernais. Arriverà a vendere i suoi quadri anche senza esporli. Potrà così acquistare, nel 1860, il castello di By-Thomery a Fontainebleau, noto come “Domaine de la Parfaite Amitié” dove andrà a vivere con sua madre, Nathalie e diversi animali, quasi un’Arca di Noé. Viaggia nelle montagne dei Pirenei, nel Cantal, in Auvergne, nelle Lande e nel regno Unito dove si reca in Scozia, come testimoniano molti dei quadri esposti alla mostra. Sarà conosciuta anche oltreoceano e dipinge Bufalo Bill e gli attori Sioux Lakotas quando saranno a Neully per uno show. Afferma di temere la sparizione degli indiani e dei bufali per colpa dei “bianchi usurpatori” decimatori nelle praterie dell’Ovest.
Sono colpita dalla forza della sua pittura e dalla particolare relazione che Rosa aveva con gli animali, in particolare con il grande cervo che è anche sul cartellone di questa prima retrospettiva dedicata all’artista con duecento opere esposte. Un’artista e un personaggio da scoprire, Rosa è da riscoprire per la sua opera, per la sua storia ed il suo sguardo verso la natura più attuale che mai, come spiega in questi estratti:
“J’avais pour les étables un goût plus irrésistible que jamais courtisan pour les antichambres royales ou impériales” (Avevo per le stalle un gusto più irresistibile che mai nessun cortigiano ha avuto per le ancicamere reali o imperiali).
“Je ne me plaisais qu’au milieu de ces bêtes, je les étudiais avec passion dans leurs moeurs. Une chose que j’observais avec un intérét spécial, c’étais l’expression de leur regard: l’oeil n’est-il l’expression de l’âme pour toutes les créatures viavantes; n’est-ce pas là que se peignent les volontés, les sensasions des être auxquels la nature n’a pas donné d’autre moyen d’exprimer leur pensée”. (Mi sentivo a mio agio in mezzo a tutti questi animali, li studiavo con passione nei loro comportamenti. Ciò che osservavo con interesse particolare era l’espressione del loro sguardo: l’occhio è l’espressione dell’anima per tutte le creature viventi, è là che si disegnano le volontà, le sensazioni degli esseri ai quali la natura non ha dato altro mezzo per esprimere i loro pensieri).
P.
Rosa Bonheur n’est pas seulement le nom de la guinguette sur la Seine devant le musée d’Orsay, mais elle est avant tout une peintre française spécialisée dans l’art animalier et considérée à ce titre comme secondaire, outre le fait qu’elle était une femme dans un milieu majoritairement masculin à l’époque et qu’elle n’a jamais été soutenue par un mari, ayant choisi la vie indépendante qu’elle a partagée d’abord avec Nathalie Micas pendant plus d’un demi-siècle puis avec la peintre américaine Anna Kumplke, dans les dix dernières années de sa vie.
J’ai découvert sa biographie et son œuvre à l’occasion de l’exposition que le musée d’Orsay, à Paris, lui a consacrée pour le bicentenaire de sa naissance. Des femmes extraordinaires, liées par des relations profondes : Nathalie, peintre et experte en mécanique, a breveté un système de freinage pour les trains ; Anne l’a aidée à écrire ses mémoires, s’est occupée de sa succession et a fondé le prix Rosa Bonheur.
Si les critiques ont longtemps dédaigné l’œuvre de Rosa en la qualifiant de kitsch, elle a elle-même été un modèle d’indépendance, tant professionnelle que personnelle, pour d’autres femmes artistes lorsque, au début du XXe siècle, elles ont revendiqué le droit des femmes à devenir membres de la commission du Salon des artistes français. Pourtant, en 1865, elle est la première femme artiste à être nommée par l’impératrice Eugénie chevalier de la Légion d’honneur.
Devant son impressionnant tableau “Le Labourage nivernais” de 1849, j’ai lu qu’elle s’était inspirée du roman “La Mare au diable” de George Sand avec qui elle partageait sans doute le goût de la liberté et le rapport à la nature. Je me demande si la critique qui place généralement George et Rosa parmi les écrivains et peintres féminins de mineure importance ne découle pas d’une incapacité à saisir pleinement la force vitale de deux femmes qui ont su concilier la nécessité de survivre sans soutien masculin (indispensable à l’époque) et leur élan créatif. Chopin, de Musset et Flaubert n’auraient peut-être pas eu la même sérénité et la même disposition à la perfection dans leur travail sans le soutien financier, logistique et psychologique de Georges, alors qu’elle était contrainte de produire page après page, la nuit, afin de gagner le revenu nécessaire après avoir assuré, le jour, la vie quotidienne de sa famille et de son amant-artiste.
Rosa, quant à elle, a su mettre en place une stratégie commerciale pour assurer son indépendance financière qui lui garantit la liberté de ne pas se marier. Elle crée donc un atelier en partenariat avec Nathalie et sa sœur Juliette afin que ses œuvres puissent être reproduites en estampes par la Maison Goupil, qui souhaite diffuser son art. Également douée pour la communication, elle donne des interviews, se fait photographier et part en tournée avec des marchands d’art pour promouvoir et élargir le réseau de vente de ses tableaux : une entrepreneuse ante litteram.
Elle a été éduquée à la peinture comme c’était le cas pour de nombreuses jeunes femmes de bonne famille qui, cependant, devaient généralement se limiter à la pratique du dessin comme passe-temps pour “s’adoucir” et certainement pas pour entrer sur le marché dominé par les hommes. Sa mère, Sophie Marchisio (1797-1833), fille illégitime née à Altona (ville libre de Hambourg dans le Saint-Empire), a été adoptée par Jean-Baptiste Dublan de Lahet, un riche marchand bordelais qui ne révélera à sa fille qu’à sa mort qu’il était son véritable père. Jean-Baptiste éduque Sophie au dessin, à la musique et à la peinture comme il se doit ; la jeune fille se mariera en 1821 avec le peintre Raymond Bonheur qui lui donnait des cours de dessin.
Née en 1822, Rosa est encouragée et guidée par son père à pratiquer l’art avec ses frères Auguste, Juliette et Isidore, qui deviendront les premiers peintres et le dernier sculpteur. La famille s’installe à Paris lorsque Rosa a sept ans; son père s’implique dans les activités saint-simoniennes et, lorsque son beau-père, véritable soutien de la famille, meurt, Sophie doit travailler jusqu’à sa mort, à seulement 36 ans, probablement du choléra. La perte de sa mère est un traumatisme pour Rosa, 11 ans, qui rencontre trois ans plus tard Nathalie Micas, alors âgée de 12 ans, qui deviendra sa compagne jusqu’à sa mort, 53 ans plus tard. En 1849, à la mort de son père, elle part vivre dans la famille de Nathalie, ne supportant pas sa belle-mère.
Les témoignages de la famille indiquent que Rose était une enfant indisciplinée qui avait du mal à apprendre à lire et que sa mère l’a aidée à apprendre les lettres de l’alphabet en les associant au dessin d’un animal, univers vers lequel Rose a toujours été extraordinairement attirée. La vie à la campagne, au château Grimont à Quinsac, lui est en effet agréable: on la considère comme un garçon manqué. Elle a continué toute sa vie à adopter un comportement non conventionnel : porter les cheveux courts, fumer des havanas et des cigarettes en privé, refuser le mariage qui subordonnait les femmes à leur mari. Selon la loi, elle devait demander officiellement à la préfecture de Paris, tous les six mois, l’autorisation de porter un pantalon pour monter à cheval ou pour voyager, se rendre aux foires aux bestiaux. En revanche, avec l’énorme tableau “Le Marché aux chevaux” (2,44 × 5 m), est entré dans le débat de la critique entre classicisme et romantisme et a été reconnue dans un magazine comme faisant “une peinture d’homme, solide, authentique…”, le plus grand compliment pour une femme peintre! Théophile Gautier a également fait l’éloge de son talent : “Nous avons toujours professé une sincère estime pour le talent de mademoiselle Rosa Bonheur, avec elle, il n’y a pas besoin de galanterie; elle fait de l’art sérieusement, et on peut la traiter en homme. La peinture n’est pas pour elle une variété de broderie au petit point”.
Elle expose au Salon pour la première fois en 1841, à l’âge de dix-neuf ans, et enchaîne les prix qui lui permettent d’être financièrement indépendante et de recevoir même des commandes de l’État pour des tableaux comme Labourage nivernais. Elle a même réussi à vendre ses tableaux sans les exposer. Elle a ainsi pu acheter, en 1860, le château de By-Thomery à Fontainebleau, dit “Domaine de la Parfaite Amitié” où elle est allée vivre avec sa mère, Nathalie, et plusieurs animaux, presque une arche de Noé. Elle a voyagé dans les montagnes pyrénéennes, dans le Cantal, en Auvergne, dans les Landes et au Royaume-Uni où elle s’est rendue en Ecosse, comme en témoignent de nombreux tableaux de l’exposition. Elle s’est également fait connaître à l’étranger et a peint Buffalo Bill et les Sioux Lakotas lorsqu’ils étaient à Neully pour un spectacle. Elle prétend craindre la disparition des Indiens et des bisons à cause des “usurpateurs blancs” qui décimaient les prairies de l’Ouest.
Je suis frappé par la force de sa peinture et la relation particulière que Rosa entretenait avec les animaux, en particulier avec le grand cerf qui figure également sur l’affiche de cette première rétrospective consacrée à l’artiste avec deux cents œuvres exposées. Rosa est à (re)découvrir pour son travail, son histoire de femme artiste et son regard sur la nature qui est plus que jamais d’actualité, comme elle explique dans ces extraits :
J’avais pour les étables un goût plus irrésistible que jamais courtisan pour les antichambres royales ou impériales”.
“Je ne me plaisais qu’au milieu de ces bêtes, je les étudias avec passion dans leurs moeurs. Une chose que j’observais avec un intérét spécial, c’étais l’expression de leur regard: l’oeil n’est-il l’expression de l’âme pour toutes les créatures viavantes; n’est-ce pas là que se peignent les volontés, les sensasions des être auxquels la nature n’a pas donné d’autre moyen d’exprimer leur pensée”.
P.