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Marta, Palermo, Catania, Bruxelles
Marta ha il vulcano della sua terra nel sangue, è sempre assetata di esperienze. L’ho conosciuta in un periodo della sua vita nel quale il desiderio di cambiamento aveva preso il sopravvento, irrompente come il magma che fuoriesce da un nuovo cratere e forma una colata lavica. Ha saputo però costruire piano piano il percorso che l’ha portata a lasciare casa, città, Paese e famiglia per ricostruire un’esistenza altrove:
Nel mio ambiente di provenienza, questo mio trasferimento sembrava un passo incredibile. Faccio parte di una generazione e di un ambiente sociale e culturale che in gioventù non ha avuto necessità di lasciare la Sicilia e inoltre gli studi seguiti, pur ottimi, non prevedevano lo studio delle lingue. L’Europa non esisteva e lo scambio interculturale, la possibilità che oggi hanno i giovani di fare esperienze di formazione all’estero (anche quando non possono contare sulle risorse delle famiglie), gli stages, i master, i dottorati internazionali e le borse di studio al mio tempo erano molto pochi. Intorno a me la mentalità era quindi piuttosto stanziale. Poi ho iniziato a insegnare letteratura in un prestigioso liceo e questo lavoro, insieme all’àncora costituita dalla famiglia e dal contesto, mi ha privato, per molto tempo, di quella mobilità a cui non potevo aspirare perché mio marito non sentiva allo stesso modo l’esigenza di spostarsi. In qualche momento mi chiedo se negli anni 2000 l’Italia era un paese più ‘vivibile’ di oggi, se il lavoro era meno flessibile ma anche meno precario e le condizioni sindacali paradossalmente migliori ma non ho una risposta certa, e però, se in trent’anni non abbiamo tangibilmente migliorato il nostro livello di vita, vuol dire che siamo stati troppo lenti. E che siamo rimasti indietro.
In ogni caso, ho trascorso i miei primi quarantanove anni in Italia e quando ho avuto l’occasione di trasferirmi, è stato fantastico anche perché questa frattura con la mia vita di prima, pur se profonda, si è configurata come un viaggio esistenziale. In questo percorso ho portato un bagaglio ricco del patrimonio capitalizzato durante la mia vita sedentaria: i figli, la carriera, gli affetti, la scrittura, l’esperienza. Tutto quello che ho realizzato nella vita faceva ormai parte di me anche se è come se avessi dovuto resettarmi in un altro mondo. Quando mi sono trovata catapultata in una nuova realtà, dove ho festeggiato i miei cinquant’anni, è stato come entrare in una ‘second life’: un giro di boa che poteva solo essere migliorativo; avevo già tutto, il resto sarebbe stato semplicemente un lusso. Un regalo della vita.
Nata a Palermo dove studia, si laurea e vive fino a ventidue anni, ne passa ventisei a Catania dove lavora e fonda una famiglia. Il cambiamento, anche se all’interno della stessa isola, sembra piccolo ma, racconta Marta:
Tra le due città c’è un abisso. Non solo per l’architettura che le rende già dall’aspetto così diverse ma anche per la presenza del vulcano che incombe e caratterizza anche la storia di Catania. Se l’Etna non sfogasse con le sue piccole ma continue eruzioni una lava fluida e continua, la materia e i gas al suo interno resterebbero compressi, e forse allora potrebbero realizzarsi eruzioni violente o un terremoto, come quello del 1693 in cui Catania fu spianata al suolo e ricostruita da architetti del Settecento, che ridisegnarono l’urbanistica del centro storico. Palermo è più varia ed antica perché il passaggio delle civiltà che l’hanno dominata è documentato dai monumenti rimasti in piedi e dunque tuttora visibili. Approdo per civilizzazioni antiche come Fenici e Cartaginesi, dalla Magna Grecia alla dominazione araba, alla fioritura bizantina, normanna, barocca, Palermo è un crocevia di stili, tracce culturali ed architettoniche. Per me andare a vivere sotto il vulcano ed abituarmi alla montagna di lapilli e fuoco, alla pioggia di cenere, al timore prima di andare a dormire, è stato un vero e proprio cambiamento.
Più prosaicamente Marta racconta di aver messo nel suo zaino la moka italiana ma soprattutto, da lettrice compulsiva, porta sempre, in viaggio, un supporto elettronico per leggere i tantissimi romanzi, saggi e racconti di cui si nutre:
Pur amando i libri cartacei, ho dovuto cambiare modalità di lettura usando quel fantastico oggetto che permette di potersi portare la propria biblioteca che piano piano si va a costituire in un formato tascabile. Uno degli svantaggi di aver lasciato la mia casa in Sicilia infatti, a parte il fatto di vedere molto meno mio figlio maggiore che è rimasto lì a studiare, è quello di non avere a disposizione i miei libri che ogni tanto consulto, sfoglio; per me i libri non sono soprammobili, mi occorrono per rivedere un passaggio, una citazione. Quando scrivo un mio testo, ho bisogno di avere accanto il o i libro/i che mi possono ispirare, come creature viventi che mi guardano, mi stanno vicini, a volte semplicemente mi fanno capire che non sono pazza. Adesso vivo a Bruxelles, in un appartamento che mi piace molto ma per farlo diventare davvero ‘la mia casa’ vorrei poter riempire la libreria dove ora campeggiano pochi volumi che ho portato in valigia, oltre al mio inseparabile kindle. Ciò che rende la mia identità nel luogo dove vivo sono i libri più che vestiti, gioielli, mobili o altri oggetti. Quando ero piccola, i libri erano quelli di mio padre. Non erano miei, non ha mai voluto che li toccassi, non me li ha prestati nemmeno una volta. Appena divenuta più grande, i libri ho iniziato a comprarmeli da sola e moltissimi erano copie di quelli che avevo in casa, nelle librerie di mio padre a cui non avevo accesso. Per questo, i libri io li ho sempre letti con fame come facciamo ogni cosa che ci viene negata, ma poi li ho sempre maltrattati, anche quelli che ho amato. Ho amato le parole, non tanto i libri in quanto oggetti. Segnati a penna, con un pennarello che rendeva illeggibile la pagina del retro, lordati con disegnini e numeri di telefono appuntati sul momento, irti di ‘emoticon’ ai margini, strappati, spiegazzati, con le pagine unte, le macchie di caffè e trucco ovviamente, coi dorsetti scollati e le copertine con i buchi delle ‘O’ e delle ‘A’, campiti con la biro, con segnacci orizzontali di penna sulla prima pagina, quella bianca, profondi come di lama di coltello, per far uscire l’inchiostro di una bic, mollati per terra, lanciati con un calcio sotto il letto, persi per incuria, abbandonati sotto il banco di scuola, prestati a chiunque senza richiederli indietro, gonfi e sformati perché caduti dentro la vasca da bagno e poi asciugati col phon o sul termosifone, messi a faccia in giù in castigo e schiaffati per terra, pieni di orecchie. I miei libri hanno subito da me tutte le angherie ma proprio perché sono così ‘vissuti’, li amo. Sono i miei.
Marta parla del trasferimento dalla terra del sole e della luce al grigio del Nord come un sorprendente e piacevole passaggio climatico:
In Sicilia esiste una sola stagione, quella della luce; a Bruxelles ho scoperto le stagioni e le varie sfumature dei colori. L’inverno, ad esempio, è scioccante per il grigio ed il buio ma la progressione verso il solstizio è eccitante: si aspetta un grande mutamento nella quantità di luce e nelle tinte della natura, è un’attesa che nutre un sentimento di speranza. Quando la primavera arriva, infatti, c’è un’esplosione di colori nei tanti parchi della città; a maggio scorso mi incantavo di fronte al giardino pieno di magnolie fiorite ed aspettavo l’estate sapendo che le giornate sarebbero durate fino a sera tardi. Il clima è cangiante: si dice che in una giornata si possono attraversare le quattro stagioni e questo mi è totalmente congeniale. Viene voglia di vestirsi con i colori dei paesaggi che mutano con il clima.
Racconta che il cambiamento è anche nelle relazioni: Bruxelles è una città con un elevato numero di espatriati; molti sono di passaggio ed è come se si percepisse la mutevolezza come fattore di gioventù, come fosse una continua primavera anche nella costruzione dei rapporti umani. C’è un ricambio continuo ed è ciò di cui aveva bisogno per spiccare il volo:
… dalla meravigliosa ma immobile Sicilia. L’isola è come una dea, eterna e immobile. Paese arcaico e accogliente ma fisso e immutabile. A Bruxelles dico di essere siciliana perché ci sono italiani di tutte le regioni e ho amici di varie nazionalità. Dell’amicizia si ha a volte un sentimento precario per i frequenti spostamenti ma questo è anche un fatto positivo per la continua novità apportata dai nuovi che arrivano. La solidarietà è un fattore importante in questo passaggio. Io e mia figlia siamo state accolte a braccia aperte e altrettanto faccio ora in un circolo di mutua solidarietà.
Durante la sua tesi di dottorato su Bufalino presso l’università di Nancy dove l’ho conosciuta, Marta veniva in Francia appena poteva. Ci siamo incontrate a Parigi, a Roma. Dovunque arrivasse, era un’esplosione di vita: riusciva a conoscere amici in un café vicino alla Bibliothèque Mitterand, a saltare ad un corso di salsa la sera, a organizzare una festa in un minuscolo appartamento parigino o a improvvisare una canzone insieme ad un artista di strada in metropolitana. Passava da momenti di grande effervescenza ad altri di malinconia, proprio come le fasi di un vulcano:
Essere vulcanici non vuol dire, come nell’accezione corrente, essere costantemente iperattivi, piuttosto vuol dire essere fasici, intermittenti, proprio come me. Il vulcano passa da periodi di latenza a quelli di attività; anche quando sembra spento, all’interno il magma cerca una strada: o trova un passaggio per la fuoriuscita della lava o esplode in lapilli, fumo, botti e terremoti. Ho soffocato per anni la mia materia lavica cercando sfoghi nell’immaginario e nell’arte. Nella musica, ma soprattutto nella scrittura ho espresso la mia incontenibile voglia di vivere raccontando anche storie di donne implose come nella mia raccolta di racconti “Stranieri a casa nostra”.
Il confinamento per la pandemia ha stretto i miei orizzonti in modo insopportabile, come un tappo su un cratere che soffoca la materia lavica. Mi sono sentita strangolata in uno spazio esistenziale chiuso e questo è stato l’evento che ha scatenato la mia eruzione successiva: sono partita a Bruxelles dove mi ha seguita mia figlia Ester, ora felice di questo cambiamento. Mio figlio è restato con il padre a Catania, studia e cerca la sua autonomia in modo sereno e stanziale rispetto a me e alla sorella.
Sono contenta del nuovo equilibrio di Marta che si sente come l’Etna il cui flusso di lava viene ormai convogliato e diretto dai vulcanologi nella Valle del Bove perché non sia pericoloso. L’energia magmatica è canalizzata lontano dai centri abitati così come lei ha diretto la sua voglia di rimettersi in gioco in una nuova vita, in una città che le somiglia:
Bruxelles è una città a misura umana, è relativamente piccola ma con i vantaggi di una capitale cosmopolita; ha ritmi rilassati che qualcuno trova un po’ noiosi ma per ora mi corrisponde. Avrei voluto fare questa esperienza da ragazza, partire come molti giovani; mi sento un po’ come l’aforisma di Bufalino: “avevo perso la giovinezza come avevo perso il treno”. Per tutta la vita è come se mi fossi sempre cercata, se avessi dovuto capire il luogo dove sentirmi a mio agio sempre cercando di adattarmi alle richieste ed aspettative degli altri. Ora voglio solo essere me stessa.
P.