Senza paura

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Ricordando Pippa Bacca, la vita, il perdono, la fiducia, la fede

Quando avviene un episodio cruento il mondo rimane annichilito, sconvolto dalla malvagità. Ci si chiede di chi è la colpa, se qualcosa poteva essere evitato, quali azioni avrebbero  potuto impedire il fatto, cosa rimane dopo.

Ciò è avvenuto anche nel caso della protagonista della storia di oggi, una giovane donna piena di talento a cui un mostro ha impedito di dare ancora tanto al mondo. L’artista venne brutalmente assassinata il 31 marzo 2008 durante un viaggio in Turchia, intrapreso per parlare di pace. Ma di lei non è rimasto solo un fatto di cronaca; è stata ed è ancora altro, nel ricordo e nell’esempio delle donne della sua famiglia, che la sua morte non è riuscita ad annientare, ma hanno continuato a parlare di lei e a dare un messaggio di esempio per tutte: non arrendersi alla paura.

Pippa Bacca era un’artista che trasformava, usando per lo più le forbici e il ritaglio. Le foto delle persone che le offrivano un passaggio in macchina  venivano mutate in mezzi di trasporto; con l’uncinetto, oggetto tradizionalmente catalogato come femminile, creava lavori a maglia, non per comporre babbucce e cappellini, ma forme falliche. In una serie, le foglie raccolte assumono la forma di foglie di altre specie vegetali.

Pippa, in una una singolare performance dal titolo Spose in viaggio, si propose di attraversare, in autostop e vestita da sposa, undici paesi, teatro di conflitti armati, per raggiungere, insieme ad un’altra artista, Silvia Moro, la città di Gerusalemme. 

Nel 2008, il giorno dedicato alla donna, l’8 marzo, le due artiste partirono. Attraversarono  Slovenia, Croazia, Bosnia e Bulgaria e giunsero in Turchia il 24 marzo. Lì si divisero, dandosi appuntamento più avanti.

Perché proprio un vestito da sposa?

Pippa si era recata tempo prima al matrimonio di un’amica e si era stupita dell’attenzione della sposa affinché gli ospiti non calpestassero lo strascico o altre parti dell’abito. Perché tributare tanta attenzione ad un vestito che si usa un giorno solo? Decise così che avrebbe usato per un viaggio un abito da sposa per tutto il tempo, in modo che questo diventasse il testimone, consunto e sporco, dell’intera esperienza. Partì così, con un unico vestito, in autostop. Lavava di tanto in tanto l’abito con la liscivia, antico detersivo ottenuto dalle ceneri di oggetti speciali a lei donati per questo scopo: cenere speciale quindi perché derivata da ricordi,  lettere, libri, vestiti, giocattoli, qualsiasi oggetto donato per essere bruciato per il  suo viaggio.

In questo modo il vestito non veniva lavato da un sapone qualsiasi, ma da un pezzo delle persone rimaste a casa. 

L’abito bianco era simbolo di purezza e candore, contrapposto alla brutalità dei paesi appena usciti da conflitti armati.

Perché l’autostop?

Pippa pensava che viaggiare in autostop mettesse in relazione il viaggiatore con la popolazione locale; il viandante in questo modo si affida agli altri viaggiatori, a chi offre un passaggio; è una scelta di fiducia negli altri esseri umani, un atto di fede.

Pippa si spostava così da quando era bambina; per la sua famiglia  l’autostop era un modo normale di muoversi. Perciò il viaggio delle spose doveva essere fatto in autostop.

La sua mamma l’aveva educata alla fiducia nel prossimo, all’idea che la stragrande maggioranza degli incontri siano positivi, che la  gente sia quasi sempre disposta ad aiutarti. E così era stato per tutti i viaggi fatti da lei fino a quel momento. Pippa si affidava perciò alla Provvidenza.

Quando partiva si metteva a bordo della strada con un cartello che indicava il luogo che desiderava raggiungere. Nel Viaggio delle Spose, per rendere ancora meglio l’idea della fratellanza, collaborazione ed unione, i cartelli con i nomi delle città venivano spesso preparati dalle persone incontrate nelle tappe precedenti.

Così la ricorda sua sorella Rosalia:

 La storia di Pippa non si sa mai da dove farla iniziare: il racconto del viaggio delle spose nello specifico è semplicemente l’ultima parte del suo percorso d’artista. Pippa era una persona con tantissimi interessi: le danze popolari, la musica, il cinema. Come artista usava molto la tecnica del ritaglio, e molte sue opere erano legate al tema della femminilità e della maternità. Lavorava da artista da tanti anni e da tempo aveva progettato questo viaggio-performance dai molti simboli e significati dove, vestita da sposa, partendo da Milano doveva arrivare a Gerusalemme in autostop, fermandosi nelle tappe principali per  praticare la lavanda dei  piedi alle ostetriche locali. Il vestito era particolare: volutamente a forma di giglio per rappresentare la purezza. Su alcune parti del vestito erano ricamati i simboli delle bandiere dei paesi che avrebbe attraversato: c’era la luna della bandiera turca, le stelle della bandiera croata, il cedro del Libano. L’abito era composto da undici veli che rappresentavano gli undici paesi che intendeva attraversare. L’abito era legato all’idea di fratellanza e di  pace , di comunione  con le persone, declinato in maniera contraria al concetto  di slogan e grandi poteri del mondo. L’idea di pace  era legata all’incontro, tramite l’autostop e l’ospitalità delle persone del posto durante le tappe del viaggio, era  un vero modo di incontrarsi tra persone diverse. 

 I vestiti  confezionati per la performance erano due, uno  rimasto a Milano, l’altro, quello che indossava tutti i giorni, avrebbe raccolto il bello e il brutto: tracce di un’esperienza. Il vestito sarebbe stato testimone di questo suo viaggio  e sarebbe stato confrontato al ritorno con il vestito immacolato rimasto a casa. L’idea era di sporcarsi viaggiando, conoscendo, di attraversare paesi teatro di conflitti dove, pur non essendoci più le guerre c’erano ancora i segni delle battaglie. Pippa si fermava e faceva la lavanda dei piedi alle ostetriche: il proposito  era  quello di omaggiare chi, in circostanze difficili, rende la vita possibile; la nascita fa da contrasto ai conflitti, alla guerre che creano morte. Durante la lavanda dei piedi faceva una serie di domande alle ostetriche sui bambini nati, sulle sensazioni che si provano a far nascere, su come poi vivessero la maternità. 

Il progetto  di mia sorella finì fuori Istanbul, nel modo noto. 

Il messaggio, “grazie” alla sua morte, ha avuto una risonanza più forte, paradossalmente, senza questo epilogo, sarebbe rimasto confinato nel mondo dell’arte contemporanea. Pippa è diventata famosa più per il fatto di cronaca che per il senso artistico del suo viaggio.

Mia sorella viaggiava moltissimo, aveva girato tutto il mondo in autostop, non era improvvisata. D’altronde, tutti noi in casa, da mia  madre in poi abbiamo viaggiato tantissimo in quel modo, accompagnate dal messaggio cristiano che dice come non siamo completamente padroni della nostra vita e possiamo affidarci al prossimo perché Dio pensa per noi. Da piccole la mamma ci ha portato a fare il Cammino di Santiago, un itinerario di pellegrinaggio, a piedi per 800 kilometri; erano gli anni ’80, eravamo molto giovani e l’idea del pellegrino è rimasta in noi, come modo di spostarsi e affidarsi alla Provvidenza. 

Abbiamo continuato a fare l’autostop fino a ieri, tutte noi in famiglia viaggiamo  ancora così, specie quando non abbiamo i giorni contati. L’ultimo viaggio è stato cinque anni fa, al ritorno dalla Polonia, con altre due sorelle; adesso dopo il covid è un po’ più difficile, ma vedremo.

Mia madre  viaggiava in autostop da quando era giovane, negli anni ’60-’70 era più comune, ma ha continuato anche negli anni successivi. Si è sposata nel ’71 e noi cinque figlie, siamo  nate abbastanza vicine; dalla più grande alla più piccola ci sono solo sette anni di differenza.

Mio padre è andato via di casa quando eravamo molto piccole, e questo è stato un passaggio importante sia per la mamma che per noi; probabilmente la mamma si è sentita più libera, ha cominciato a fare cose che non poteva fare prima; visto che avevamo pochi soldi ci portava a fare delle vacanze economiche su di un furgone colorato di nome “Arlecchino”. Ci caricava tutte lì è andavamo un mese in Grecia dove la vita costava poco: noi  cinque dormivamo sul furgone, lei in una tendina sul tetto.  Abbiamo  girato spesso: Grecia, Italia, Francia… a quei tempi non era molto comune vedere una donna sola con cinque bambine piccole. Un giorno, tornando dalla Grecia, ha avuto un incidente, il furgone si è completamente distrutto mentre nessuna si è fatta male. La mamma lo ha letto come un segno del destino: dovevamo andare a piedi, ed è stato proprio per questo che l’anno dopo abbiamo intrapreso a piedi il cammino di Santiago. Siamo state educate fin da piccole a non avere paura delle persone, a mettere in conto il fatto che vale la pena vivere apertamente senza avere timore; certo, così a volte può far male, ma vivere è anche questo.

Il modo di vivere di noi sorelle dopo Pippa non è cambiato; quando è morta aveva 33 anni e noi eravamo già grandi. Certo, un evento così importante ti mette in gioco e ti costringe ad interrogarti sul tuo modo di vivere, il significato della vita e di quello in cui credi. La possibilità del perdono e della pace si presentano: un assassino si è preso la vita di tua sorella. L’idea dell’autostop inizia a far paura? Abbiamo dovuto affrontare  tutto ciò. Il fatto di cronaca ha generato situazioni che hanno richiesto tempo: non solo collaborare con chi si è occupato di Pippa – come ad esempio Giulia Morello, che ha scritto un libro o i due registi Joël Curtz e Simone Manetti che hanno fatto dei documentari – o il lavoro di ricerca sul suo percorso artistico, ma anche una più profonda analisi di quello che siamo.

Le mie sorelle viaggiano ancora in moto, in bici, sul furgone, la nostra vita è continuata con il messaggio insegnato da mia madre, che senza dubbio è una grande “guerriera”: ancora in prima linea a raccontare che dobbiamo restare così, senza paura, e vivere con fede e fiducia.

Rosalia Pasqualino di Marineo

R.

Raffaella Gambardella

Raffaella, appassionata narratrice, è una blogger che ha saputo rasformare le sue più grandi passioni – il cinema, i viaggi e la lettura – in una piattaforma vibrante e ispiratrice. Sin da piccola, è stata affascinata dalle storie: quelle raccontate sul grande schermo, lette nelle pagine di un libro o incontrate lungo il cammino nei suoi viaggi. Continua a intrecciare parole di donne in un cammino che non smette mai di arricchirla.

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