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Siamo circondati da immagini anche molto crude di disastri umanitari in cui molte volte i bambini sono i soggetti dello scatto: basta aprire un canale musicale o fare una ricerca online perché ci scorrano, sotto i nostri occhi, una di queste terribili fotografie. A volte il nostro sguardo sembra essersi quasi assuefatto, altre volte si è portati a distoglierlo, poche volte si osservano con attenzione immagini inserite in un contesto pubblicitario per raccogliere fondi e aiuti.
Through Our Eyes è una mostra che, al contrario, pone i bambini come artefici dello scatto: più di 150 minori dai nove ai diciassette anni hanno potuto offrire la loro visione dell’ambiente circostante e scattare istantanee che esprimessero le loro condizioni di vita ed i loro sogni e desideri.
Mi torna alla mente un progetto Comenius che ho portato avanti nella scuola primaria Leonardo da Vinci di Parigi, in cui, con la collaborazione del fotografo Massimiliano Marraffa, avevamo chiesto ai bambini di scattare foto per un ‘Abbecedario parigino’ da condividere con i loro amici di penna di altre scuole europee del partenariato. Un altro mondo, quello privilegiato dei nostri alunni esposti all’arredo ed al patrimonio urbano di una capitale tra le più belle del mondo, naturalmente migliorabile, ma sostanzialmente sicuro, interessante, arricchente.
Non avevo dubbi quindi sulle capacità dei bambini di apprendere il linguaggio fotografico ed appropriarsene per offrire la loro personale lettura di ciò che li circonda, persone, luoghi, storie. È la prima volta però che vedo una mostra in cui i piccoli fotografi non sono solo i protagonisti delle immagini create ma restituiscono la desolazione, la disperazione e la difficoltà della loro vita quotidiana nei campi profughi o nelle bidonville. Tanti pugni nello stomaco quante sono le fotografie esposte nella mostra che ha già girato oltre cento città tra Europa e USA. Attualmente è allestita presso l’accogliente e luminosa Biblioteca Europea di Roma, in collaborazione con l’adiacente Goethe Institut e con l’organizzazione internazionale Still I Rise, artefice del progetto. Chiedo informazioni alla responsabile della biblioteca, la dinamica e instancabile Fiorella Virgili:
L’organizzazione Still I Rise realizza questo progetto dal 2019 nelle scuole di emergenza da loro tenute nei campi profughi o in realtà difficili dove le sofferenze della gente e in particolare dei bambini sono molto forti, come a Samos in Grecia, nella baraccopoli Matarè a Nairobi o nel campo di sfollati Ad-Dana in Siria. Bambini ed adolescenti hanno potuto, con questo progetto, seguire un corso di fotografia e poi scattare istantanee con una polaroid, invitati a raccontare la loro vita, il loro quotidiano, il loro vissuto, i loro sogni, quello che vedevano intorno e che volevano raccontare. Ne è scaturita questa mostra (e un libro) in cui loro stessi parlano e raccontano con le immagini e le parole. Non ci rendiamo conto di cosa voglia dire nascere in un campo profughi; ci sono bambini piccolissimi che vivono realtà drammatiche per mesi, a volte anni. Queste foto ci danno conto di questi vissuti attraverso lo sguardo stesso dei giovani che lo vivono.
Fiorella sottolinea che la mostra è quotidianamente fonte di riflessione ed ispirazione per gli utenti della biblioteca ma anche per chi, come lei ed i suoi colleghi, ci lavora, tanto da decidere di prolungare l’esposizione fino alla chiusura i estiva, in agosto.
Osserviamo le immagini e ciascuna ci parla, ci fa vivere empaticamente -attraverso i loro occhi- le situazioni e i luoghi illustrati leggendo la didascalia. Tra tutte ne riportiamo tre:
Per la fotografia dove si vedono alcuni bambini che giocano su una strada polverosa, il piccolo fotografo dello slum di Nairobi spiega: Mi piacerebbe cambiare il posto in cui viviamo per uno più sicuro così da lasciarci alle spalle tutte queste risse e tutte le persone che rubano…
Oppure in una fotografia dall’apparenza più gioiosa, la tredicenne Siba, autrice dello scatto, rappresenta il sogno della piccola Amina che visita, con uno stetoscopio di plastica, un’altra bambina distesa che gioca alla paziente. Amina vuole diventare medico da grande per alleviare il dolore delle persone che la circondano testimoniando così del contesto di dolore nel quale vive in Siria.
La terza foto è di Samaneh, una sedicenne afgana che mostra una donna su un motorino che passa per la strada. Scrive: Nel Paese da cui provengo le donne non possono guidare lo scooter perché rischiano il carcere. In Europa è diverso; le donne hanno dei diritti. Diritti che un giorno anche io un giorno voglio avere.

Virgili sulla mostra “Attraverso i nostri occhi” . Per riascoltare in streaming la parte con la clip ecco il link: