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Dalla nostra amica donnaconlozaino Manuela B. che già avevamo incontrato,
riceviamo un racconto di viaggio che pubblichiamo volentieri. Ecco il suo resoconto:
Deserto. Quanto mi piace la delicatezza e la forza che porta. Sembra morbido e duro allo stesso tempo con sabbia e rocce. E sole, tanto sole. Forse troppo. Lo so, l’ho scelto io come meta. Ma ho scelto il deserto del Cile, San Pietro di Atacama nello specifico, per la notte. Per il cielo, le stelle, i pianeti e il loro allineamento (Venere, Saturno, Giove e Marte), che al momento si vede ad occhio nudo. Ci sono andata a fine gennaio perché la Luna nuova, quella nera e nel suo momento più vicino al Sole, lascia spazio al cielo e lo libera dalla sua luce, permettendo alle stelle di essere viste. Quando sono arrivata in Sudamerica qualche mese fa per lavoro, ho scoperto che il Cile è uno dei posti con il cielo più limpido al mondo, per la scarsa umidità. Agenzie spaziali come ESA e NASA hanno osservatori per studiare il cielo, e chi sono io per non approfittare della vicinanza e fiondarmici?!
Lo scorso anno un’esperienza in Marocco mi ha regalato un incontro con un astronauta, quest’anno ho fatto il mio piccolo passo verso lo scienza e sono andata nello spazio, almeno con il cuore. Non ho mai avuto senso dell’orientamento e posso letteralmente perdermi in un bicchier d’acqua, fisicamente e mentalmente. Ma il cielo… Mi accompagna da sempre ed è per me un punto fermo, soprattutto da quando viaggio. Quando un luogo è troppo nuovo e mi sento smarrita, mi basta alzare lo sguardo e perdermi. Mi ritrovo subito tra i pianeti e, abbassando nuovamente la vista, capisco di essere sulla Terra. E a questo punto non importa in quale parte.
Le Ande viste dall’alto definiscono il passaggio dall’Argentina al Cile e si mostrano in tutta la loro maestosità, con sfumature potremmo dire, camouflage. Breve scalo a Santiago e partenza verso la destinazione finale, Atacama.
Mi sono concessa cinque lenti giorni alla scoperta di un luogo nuovo e di questi, giusto un paio di escursioni sotto il sole cocente. La prima in mezzo al deposito salino più grande del Cile, il salar di Atacama, per fare un bagno alla Laguna Cejar. Grazie alla quantità elevata di sale e altri minerali, ho galleggiato in quello che sembrava un piccolo lago, in mezzo al deserto, ammirando i vulcani Licancabur, Sairecabur e Lascar. Abbiamo inoltre fatto tappa alla Laguna Tebinquinche sperando di incontrare i fenicotteri, che ahimé quel giorno erano da qualche altra parte.
La seconda è stato un breve trekking con destinazione terme di Puri Libre. Una piacevole camminata tra rocce e cactus, dicevano. Dettaglio: era a 3500 mt di altitudine. In effetti rocce e cactus c’erano, giusto l’ossigeno mancava. In ogni caso è stato bello camminare in mezzo ad un passaggio sabbioso ed arido, pensando che un tempo fosse un fondale marino.
Ma veniamo alla parte bella. Quella che arriva con la notte, che mi ha riempito gli occhi e nutrita dentro. Esco dal paesino illuminato e vado in due diversi osservatori, in mezzo al niente, al buio. E finalmente mi godo lo spettacolo. Percorro con gli occhi tutta la via Lattea fino ad arrivare alla Croce del Sud. La costellazione in cui la stella Alpha Crux ci aiuta ad individuare il punto cardinale Sud, così come la Stella polare del Carro maggiore ci indica quello Nord. Vedo un paio di stelle cadenti, due piccole galassie chiamate Nubi di Magellano che sono proprio accanto alla Via Lattea e no, anche se sembrano, non sono nuvole. Provo 10 telescopi differenti (uno ha il diametro di 1,5 mt), scopro che le Pleiadi non sono sette, ma qualche centinaio in più. Riesco a vedere i colori di Giove e conto almeno cinque lune che gli orbitano attorno. Individuo Sirio, la stella più luminosa del cielo e riconosco Betelgeuse, una stella scoperta in Marocco quando stavo con il naso all’insù. Mi hanno detto che è vecchia e a breve esploderà. Tra qualche migliaio di anno. Astronomicamente parlando, a breve.
L’ultimo giorno riesco a seguire un po’ più il mio istinto selvaggio, che chiede silenzio e connessione. Così cerco finché non trovo un luogo vicino al paese, libero da tour prefissati e orari stabiliti. Voglio guardare il tramonto e salutare quel cielo così vicino seppur lontano, senza vincoli né limiti. E così, senza saperlo, mi ritrovo affacciata a guardare la Valle della Luna, la zona che più caratterizza San Pedro di Atacama e alla quale avevo dovuto rinunciare perché a morire in mezzo alle dune del deserto, in piena estate australe, alle tre di pomeriggio, era troppo anche per me. E ho fatto bene. Perché il rosso della terra, le nuvole e il sole che ormai calava, hanno creato riflessi e giochi di luce degni di un finale con i fiocchi.
Riaccompagnandomi poi all’ostello, il tassista mi dirà che quel luogo è visto come una collina dove stare soli e “dove vanno le persone depresse che vogliono isolarsi”. “È dove vanno coloro che al mondo sanno di esserci e appunto per questo, ne vogliono una connessione totale” ho risposto con gli occhi ancora pieni di stelle.