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Barbara C., Rosario, California, Torino
Pensavo che avrei avuto difficoltà nel trovare un alloggio a Torino, in occasione del Salone internazionale del libro: –Non c’è più disponibilità sicuramente, è troppo tardi ormai– mi avverte la mia amica ex libraia, esperta dei fatidici giorni in cui il capoluogo piemontese si trasforma in un grande contenitore di incontri e passaggi di autori/editori/lettori. Essendo io stessa superhost però, mi fido del mio un buon fiuto (e fortuna) nel riuscire a prenotare comode sistemazioni a buon prezzo, spesso legate a incontri interessanti. Mi è accaduto con Nicole a Dakar e ugualmente a Torino con Barbara, new host per la nota piattaforma che collega ospiti di tutto il mondo. Arrivo con il mio zaino pieno di libri (la presentazione di Donne con lo zaino. Vite in cammino, Elliot, 2023, avrebbe avuto luogo l’indomani nell’accogliente libreria Trebisonda per continuare poi a Brescia, Como, ecc.) e, bagnata come un pulcino, mi appresto a fare il check in. Barbara mi accoglie con un sorriso aperto e una gentilezza autentica, offrendomi un caffè caldo e chiedendomi notizie sul mio lavoro mentre il suo cagnolino scodinzola curioso intorno a noi. Vedendola sinceramente interessata e avendo capito dalle sue risposte che mi trovavo davanti ad una ‘donna con lo zaino’, mi lancio nella domanda fatidica: –Potrei intervistarti?
La mattina seguente, sorseggiando un caffè nel suo confortevole salone, inizia il racconto di Barbara:
Sono un’italiana d’Argentina, nipote di un piemontese emigrato oltreoceano; il cerchio della vita mi ha portata a ripercorrere il suo stesso tragitto all’inverso, molti anni dopo. Mio nonno era del ‘25, si chiamava Carlo G. e partì subito dopo la guerra per Buenos Aires. Purtroppo non mi ha potuto raccontare molto, un poco per riservatezza, poi perché era malato quando io, più grandicella, avrei potuto porgli domande sulla sua vita. D’altra parte non era comune raccontare dell’emigrazione e del passato; non si parlava di questo forse perché c’era la percezione che il nonno non si sarebbe aperto volentieri. Le conversazioni con lui erano piuttosto protese verso il futuro: mi chiedeva cosa volessi fare da grande e mi suggeriva di seguire la mia strada, trovare un lavoro che mi piacesse. Lui aveva fatto tanti lavori diversi; negli ultimi anni si dedicava al commercio e poi in un’azienda di costruzioni. A Buenos Aires aveva conosciuto e sposato mia nonna Adriana, spagnola, che morì quando ero piccola. Ebbero una figlia che ora si trova in USA e mio padre, Hugo. Quando mio padre aveva diciotto anni, la famiglia traslocò a Rosario dove ha studiato, si è sposato con Adriana ed hanno avuto me e mia sorella.
In un momento della vita ho avuto la spinta e l’opportunità di riscoprire le mie origini venendo a vivere a Torino ed imparare l’italiano, lingua che in casa non si è mai usata. Ricordo solo che il nonno aveva un forte accento e gli scappavano parole italiane solo quando si arrabbiava (allora erano parolacce!) o quando mi elogiava e mi diceva: -Sei brava!
Le tradizioni invece e la gastronomia italiana facevano parte della nostra vita e della nostra tavola: a Natale si mangia il vitello tonnato in Argentina e ci sono molti altri esempi, soprattutto nel centro e nel sud del Paese, dove la forte immigrazione italiana ha portato abitudini alimentari della penisola.
Barbara racconta che da bambina era tranquilla ed indipendente: poteva sguazzare a lungo mentre faceva il bagnetto anche da sola perché giocava tranquillamente. Quando non poteva incontrarsi con un’amichetta, si intratteneva da sola. Nel suo percorso di formazione però non è stato ugualmente facile per i suoi: ha cambiato molte volte orientamento: pubblicità, diritto, cucina. Dopo tanti settori diversi, i genitori l’hanno messa di fronte ad un out out: o terminava gli studi o andava a lavorare.
Ho allora cominciato a lavorare come assistente dentista ma non mi trovavo bene perché la capa era lunatica, infatti le assistenti se ne andavano una ad una. Questa esperienza negativa però mi ha fatto riflettere sulla selezione, la formazione e la gestione del personale così ho deciso di lavorare nell’ambito delle risorse umane. Ho pensato che in questo settore avrei potuto utilizzare tutte le mie varie competenze ed interessi: l’esperienza di marketing, gli advertissement, la normativa. Rimaneva fuori la cucina che pratico nel mio tempo libero! Ho iniziato nel ‘costumer service’ in inglese in un call center e, dopo un paio di mesi, sono passata al settore Risorse Umane rispondendo ad un annuncio. Ho lavorato con diverse aziende in questo ambito fino a stabilirmi in una ditta di traduzione e localizzazione/adattamento per la quale ho viaggiato per e negli USA. A quel punto prendo la decisione di volermi trasferire in California; inizio a fare il visto ed i documenti anche per il cagnolino ma scoppia la pandemia e sono costretta a lavorare da casa con l’obiettivo di traslocare appena possibile. Ricevo poi una cocente delusione quando, con il visto ormai scaduto, dall’azienda mi riconoscono il grande lavoro fatto ma mi comunicano un cambio di rotta nella gestione del personale e nel mio contratto. Ho capito che i miei sacrifici per andare a vivere nella West Coast stavano sfumando e così decido di lasciare questa ditta e comincio a cercare altro che mi permettesse di lavorare al 100% a distanza e viaggiare: in fondo avevo solo bisogno di una buona connessione e del mio PC. Nel frattempo il proprietario dell’appartamento dove vivevo mi avverte che non può rinnovarmi il contratto di affitto: in un paio di mesi avevo cambiato lavoro, visto sfumare il mio sogno per il quale avevo lavorato e fatto sacrifici risparmiando al massimo e in più non avevo la casa dove abitavo da cinque anni! Un pensiero ha allora attraversato la mia mente: -Vado in Italia! – Ho chiamato i miei genitori immaginando che mi dicessero che ero pazza e mi invitassero a riflettere sulla rapidità della decisione. Invece mi hanno incoraggiato affermando che il progetto poteva essere positivo per me. In fondo non avevo mai considerato Rosario come la città dove avrei voluto fermarmi per vivere.
In poco tempo Barbara vende tutte le sue cose, prenota il volo per Torino, saluta amici, familiari e conoscenti dicendo che non sapeva per quanto sarebbe partita. Sceglie Torino a causa del nonno e perché sapeva che al Comune conoscevano bene l’iter per la cittadinanza e come fare il chip per il suo cagnolino. Dice a se stessa: fight or flight e in un mese e mezzo trova un appartamento, comincia l’iter di cittadinanza, impara la lingua. Nel frattempo però, scopre di non avere la stessa veduta dell’azienda nel trattamento delle persone: per lei hanno un valore umano e non solo monetario; d’altra parte aveva bisogno di lavorare e non poteva permettersi di lasciare il lavoro. Appena ottenuta la cittadinanza, in soli quattro mesi perché la sua linea di ‘italianità’ era facile da ricostruire con solo due generazioni, con il passaporto e la carta d’identità in mano, si è detta: E ora? Ora ho la cittadinanza e non ho avuto vacanze da tanti anni perché ho solo pensato a costruire progetti di lavoro. Ora che sono qui, cosa voglio fare veramente? Il capo dell’azienda dove lavoravo mi chiedeva di collegarmi anche alle ventitre, non c’erano orari né limiti di richieste così ho detto basta, smetto di lavorare con lui e viaggio per l’Italia che mi ha dato la cittadinanza. Voglio conoscere il Bel Paese: Venezia, Verona, Firenze e inizio a viaggiare da sola, per la prima volta per il gusto di scoprire e non per lavoro come prima. Lavoro da quando avevo diciannove anni; ora, a trentasette, mi sono trovata per la prima volta senza occupazione così mi sono dedicata a viaggiare: è stato un percorso di conoscenza di me stessa. Mi sono chiesta come mai avessi aspettato tanto a viaggiare da sola: mi piace davvero tanto! Quando sono tornata ho cominciato a cercare di lavorare con un’idea ben chiara: volevo farlo in smartworking per poter continuare a viaggiare, inoltre cercavo un’azienda che mi impiegasse con contratto regolare. Non è stato facilissimo perché non parlavo l’italiano ancora bene e il mio ottimo inglese e le altre lingue, se erano un atout in Argentina, qui in Europa sono competenze più diffuse. Rispondo ad un annuncio che aveva una posizione a Dublino o a Milano: a quel punto avrei traslocato in Irlanda anche se sentivo che il mio rapporto con l’Italia non era finito ma non c’è stato bisogno perché sono stata assunta per la sede di Milano dove però non devo recarmi potendo lavorare per la maggior parte in casa. Ora sono felice di lavorare per un’azienda di infrastrutture, con un gruppo di gente eccezionale.
Barbara è una donna indipendente, determinata, volitiva. Sostiene che questo dipende anche dalla mentalità nella quale è cresciuta: se hai fame, vai nella dispensa e sbrigatela, si quieres algo ve y hazlo – le dicevano i suoi perciò ha saputo molto presto che non poteva dipendere dagli altri per ottenere ciò che voleva. Nella sua lingua questo lo esprime così: nunca me han dado nada, todo lo he tenido que obtener:
Dopo la delusione del mio American Dream ho consultato uno psicologo che mi ha aiutata ad analizzare il fatto ed i miei sentimenti da un’altra angolatura: la California era un’opportunità, non un sogno crollato. Ero entrata in crisi perché avevo riposto tutto nel lavoro; dovevo rilasciare questa pressione che mi ero messa e domandarmi: chi è Barbara? Scoprii che non c’era una Barbara senza il lavoro, non mi vedevo al di fuori del contesto professionale. A quel punto ho cercato altre opportunità ed è così che ho pensato all’Italia: mi sembrava lontana ma potevo farcela. E così è stato!
Barbara ha trovato presto un bell’appartamento ampio e luminoso a Torino. Lo cercava adatto per lavorare in casa anche perché a lei piace godersi questo spazio casalingo, cucinare e ricevere gli amici, come in Argentina. La sua casa a Rosario era il punto d’incontro dove amici e amiche passavano per cenare, bere, incontrarsi. Afferma che a Torino non è facile come nel suo Paese conoscere persone e stringere amicizie per cui ha pensato di diventare host e usare lo spazio della casa unendo il desiderio di conoscere persone aperte e viaggiatrici come lei: mi sono decisa a creare un annuncio sull’appartamento perché questo mi permette di decidere quando posso avere ospiti e quando preferisco stare sola. La mia prima ospite è stata Camille, una produttrice cinematografica parigina che è venuta qui per la produzione di un film. Lei mi ha incoraggiata perché sentiva un’energia positiva nella casa ed in me: so quando lasciare libero l’ospite e quando è interessante scambiare e conversare. Mi piace essere host: non a caso, dico ‘essere’ non ‘fare’!
Chiedo a Barbara dove si vede in futuro e cosa mette nel suo zaino: Già da quando avevo venticinque anni mi chiedevano tutti quando mi sarei fermata per fondare una famiglia ed avere dei figli. La relazione che avevo è finita, figli non ne ho avuti e non sento questa esigenza. ‘Nunca digo nunca’, ma per essere una vera donna non devo essere madre per forza. A me piace la mia vita!
In un certo senso ho smesso di pensare al domani perché sono stata sempre troppo sotto pressione per progettare ‘step by step’ il futuro dimenticandomi di me stessa. Ora ho un atteggiamento più aperto a ciò che la vita porta con sé: ho imparato che non posso controllare tutto il mio cammino e che non tutto ciò che voglio posso ottenerlo ma posso cominciare a rimuovere quello che non voglio. Ad esempio, se dovessi tornare in Argentina, so che non tornerei a Rosario. Quando sono tornata nel mio Paese in vacanza, ho avvertito già una sorta di spaesamento: essere a casa ma non sentire veramente l’appartenenza; c’è la mia vita laggiù ma in effetti si perde la continuità anche se mantengo le amicizie a distanza. Comunicare con il fuso orario però non è sempre facile: la mia migliore amica ad esempio mi ha rivelato di essere incinta, un’altra amica ha avuto una bambina prematura, ad un’altra ancora è morto il suocero ed un’altra ha perso il lavoro: come posso essere loro vicina davvero da così lontano? A volte mi sento in colpa per il mio sentimento di non voler tornare in Argentina, c’è un gap tra quello che vorrei e quello che dovrei…A distanza inoltre molto viene deformato proprio dagli stessi mezzi che ci dovrebbero avvicinare. Alcuni amici e conoscenti vedono le foto su instagram, ad esempio, e pensano che quello che vedono sia tutta la mia vita: viaggi, sorrisi, uscite con amici, cibo, l’Europa! Quando si parte all’estero si hanno nuove relazioni, più facilmente con altre persone viaggiatrici: ci si capisce meglio. Si moltiplicano le occasioni di amicizia ma lo svantaggio è che si è lontani: l’emigrante affronta sempre questa contraddizione. Anche nelle relazioni d’amore non è facile e d’altra parte preferisco stare sola che con qualcuno di cui non sono profondamente innamorata o che non comprende il mio desiderio di libertà. In futuro di certo non mi vedo in un clima tropicale, vicino al mare. Mio nonno abitò un paio di anni a Miami ma non gli piaceva il caldo. Anche a me piace più il freddo, la montagna: sono piemontese!
Nello zaino, ovvero nei miei spostamenti, porto sempre il mio cane. Lui è il mio amore da cinque anni, un amico puro. Lui è felice qui, l’Italia è super petfriendly così viaggio con lui facilmente. Nel mio bagaglio metaforico metto la mia mente aperta, la voglia di trovare/provare cose nuove, superare i miei limiti, la curiosità.
P.